sabato 31 dicembre 2005

News: Cetaceo misterioso



Due giorni fa, il 29 dicembre, questo "cetaceo" è stato fotografato dal nostro collaboratore della Protezione Civile di Numana, Luca Amico, a poche decine di metri dalla costa fra Fano e Senigallia. Lunghezza attorno ai 3,5 - 4 metri.
Non è stato possibile stabilire se fossero due esemplari o uno solo, nel caso fossero stati due non sono comunque mai apparsi contemporaneamente. Emergevano (o emergeva) solo per brevi momenti e non hanno mai mostrato nè la coda nè la testa, e non si è mai vista una pinna dorsale. Raramente era visibile un piccolo "sbuffo".
L'avvistamento è simile a quello verificatosi venti giorni fa, nella stessa zona; anche quella volta gli avvistatori parlavano di uno o due esemplari, senza la pinna dorsale ma con una specie di "gobba". Ogni ulteriore segnalazione (o suggerimento) è gradito.
Ho già contattato i migliori esperti nazionali di avvistamenti in mare, dr. Notarbartolo di Sciara e dr. Bearzi e anche loro non sanno fornire nessuna indicazione. Restiamo allerta per ulteriori segnalazioni.

venerdì 30 dicembre 2005

Racconti: Una Megattera in Adriatico

La Megattera è decisamente uno dei Cetacei più famosi e conosciuti. Come tutte le balenottere è un animale che raggiunge dimensioni notevoli, con i suoi 15 metri. Ma sono altri i particolari che la fanno ricordare: le sue lunghissime pinne pettorali (fino a 5 metri l’una) da cui il nome megattera che significa appunto “grandi ali”, gli incredibili e spettacolari salti che nonostante le sue 30 tonnellate è in grado di compiere, e infine i complessi e affascinanti canti che i maschi emettono durante la stagione degli amori, udibili dalle femmine (e dai rivali) a centinaia di kilometri di distanza.

Non vivono Megattere in Mediterraneo. Le segnalazioni in questo mare non sono più di una decina. A maggior ragione non è mai stata avvistata una Megattera in Adriatico. Fino al 4 agosto 2002…

Quello che è, con ogni probabilità, l’avvistamento più importante compiuto finora dalla Fondazione Cetacea, è cominciato come un temporale estivo, che prima di colpire la città, si lascia precedere da chiari segnali del suo imminente arrivo.

Venerdì 2 agosto 2002 ricevo una telefonata da Maurizio Spoto, della Riserva Naturale Marina di Miramare, il quale mi riferisce che il 31 luglio gli sono giunte alcune segnalazioni relative a una balenottera al largo di Trieste. Il giorno dopo, sabato, Giampaolo Rallo della Riserva Naturale di Valle Averto (e corrispondente di zona del Centro Studi Cetacei, l’allora network nazionale per gli spiaggiamenti di cetacei) ci segnala la presenza di una balenottera, a 400 m dalla riva, a Iesolo, poco a nord di Venezia. La sera stessa una telefonata dell’amico Paolo Zucca, professore all’Università di Trieste, riporta una notizia “bomba” ma assolutamente da confermare. Pare che un esperto sub, nei giorni precedenti abbia visto fuori Trieste una Megattera. Ci scherziamo un po’ su e ci salutiamo, probabilmente entrambi certi che resterà come una della solite “allucinazioni” estive.

Al momento sono molto più interessato alla balenottera di Iesolo che, viste le segnalazioni, pare si stia spostando verso sud, e cioè verso di noi. L’avvistamento di una balenottera in Adriatico è del tutto eccezionale, e quello che è successo nel 2000 (diversi avvistamenti di balenottere in nord Adriatico) mi mette un po’ sulle spine.

Chiamo, per precauzione, Luca Amico della Protezione Civile di Numana, mettendolo in preallarme e avviso anche la mia collega Valeria Angelini e altri collaboratori della Fondazione. Eh sì, il temporale stava arrivando…

E’ domenica e, nonostante le promesse fatte ai miei collaboratori, ho il cellulare spento. Alle 13,30 Valeria mi chiama a casa: la Capitaneria di Porto di Fano ci comunica la presenza della balenottera a sud di Pesaro; viaggia veloce verso Fano. Chiamo subito Amico a Numana: “Occhio! Preparati, sta arrivando da te!”.

Verso le 16 un’altra telefonata: un privato ha chiamato in Fondazione per avvisare che sta seguendo la balenottera: è a Senigallia, ad appena 150 m dalla costa. Non ho più scuse. Lascio mia moglie in balia di due bimbe irrefrenabili e parto a razzo verso Ancona dove dovrebbe esserci il rendez-vous con la Protezione Civile di Numana e con le imbarcazioni messe a disposizione dal Centro Sub Monte Conero.

Dopo di me, poco più tardi, parte un’altra macchina con a bordo altre due persone e una potente macchina fotografica digitale. Mi tengo in contatto continuamente con le imbarcazioni e con la macchina che mi segue, tramite il prezioso cellulare. Dopo poco, un pugno allo stomaco; è Luca: “L’animale sta andando verso il largo, la luce sta calando, non vi aspettiamo. Vedremo dopo come raccogliervi. Ah, pare sia un capodoglio.” Arriviamo ad Ancona, e adesso? Di nuovo dalla barca: “Risalite in macchina e viaggiate verso nord, cerchiamo di raccogliervi da qualche parte fra Senigallia e Falconara!” Evviva!

A Montemarciano, tipico paesino balneare, finalmente il contatto con il gommone del Centro Sub Monte Conero. Non c’è attracco per cui, fra lo sguardo attonito dei turisti domenicali, dalla spiaggia ci lanciamo in acqua vestiti e, sollevando bene in alto l’attrezzatura fotografica, raggiungiamo il gommone. Vorrei baciare gli omaccioni del Centro Sub e della Protezione Civile che hanno “mollato” l’avvistamento per venire a raccoglierci! Si parte.

Adesso è a 3 miglia al largo. Ci sono altre due barche in zona. Scrutiamo l’acqua con il cuore che accelera i battiti e finalmente, eccola, emerge per respirare, è ancora lontana da noi, le vediamo lo sbuffo dello sfiatatoio, parte della testa, il dorso e la piccola pinna dorsale: non so cos’è ma diamine quella non è né una balenottera comune né tanto meno un capodoglio.

Ci avviciniamo ancora. Sono quasi le 19, l’acqua è scura e il sole è già basso per cui l’animale è visibile solo quando affiora per respirare (ogni 90 – 120 secondi circa). Ma quando è proprio sotto il pelo dell’acqua, un attimo prima di affiorare, si vede chiaramente che le pinne pettorali sono bianche. Non voglio ancora credere di stare osservando una megattera, così penso a una balenottera minore (Balaenoptera acutorostrata) che è caratterizzata proprio dalle macchie bianche sulle pettorali. Ma ogni volta che riaffiora un po’ di dubbi se ne vanno: le pettorali sono lunghissime (le grandi ali da cui il nome Megattera) e tutte bianche. In più la forma e le protuberanze della testa, la forma dello sfiatatoio, i caratteristici “bozzoli” sulla parte anteriore delle pettorali, la coda veramente ampia; insomma ci arrendiamo, ben volentieri, all’evidenza: sotto il nostro gommone c’è la prima Megattera avvistata in Adriatico!

Guardo gli occhi degli altri componenti dell’equipaggio e leggo gioia, emozione e stupore; credo che i miei esprimano le stesse emozioni. Ogni volta che affiora, a volte lontano da noi, altre volte invece vicinissima (non sembra affatto impaurita) qualcuno sulla barca grida: “Soffia!” come facevano i balenieri quando avvistavano le loro prede. Mi sembra un tantino fuori luogo eppure so che quando i ricordi sbiadiranno questo frammento mi resterà nitido.

Confrontiamo le dimensioni dell’esemplare con quelle del gommone e lo stimiamo attorno ai 9-10 m. Si muove con pinnate ampie e lente, ma che producono un nuoto veloce e decisamente puntato verso sud. La seguiamo per circa 1 ora e mezza, poi la luce cala drasticamente così come il carburante nel gommone. La salutiamo poco a nord del promontorio del Conero. Sbarchiamo verso le 21 a Numana, stanchi, fradici ma ovviamente euforici.

Questo era, allora, il sesto avvistamento di una Megattera nel Mare Mediterraneo, e come già detto il primo in Adriatico, vi sembra poco?

Luca ci riaccompagna a Montemarciano dove abbiamo lasciato le macchine per salire sul gommone. Solo allora, ormai a sera inoltrata, stanco, con la faccia e i capelli incrostati di salsedine e nemmeno una maglietta da mettermi (la mia è zuppa), mi accorgo che nel lanciarmi in acqua per raggiungere il gommone ho perso le chiavi dell’auto… In qualunque altro momento la cosa mi avrebbe un tantino “alterato”, stavolta no, ho raggiunto una specie di pace dei sensi, un appagamento professionale e personale che mitiga tutto quanto. Salgo sull’altra auto (la mia la recupererò poi) e ripartiamo.

Arrivo a casa verso le 24,00 e dopo l’agognata doccia perdo un altro po’ di tempo su Internet a leggere cose e a vedere foto di Megattere… Dopo l’una vado a letto ma fatico ad addormentarmi: ho adrenalina da smaltire! Alle 6,30 della mattina dopo sono già in piedi, so che non dormirò più quindi alle 7,30 sono in ufficio; c’è tanto da fare: comunicati stampa, telefonate e soprattutto dobbiamo vedere le foto e tornare a Numana a prendere il video (e la mia macchina).

Le foto confermano l’identificazione e mostrano chiaramente uno stato di profonda denutrizione dell’animale. Lea (così un quotidiano, il giorno dopo, la battezza per motivi a noi del tutto ignoti) sta male. Chiamiamo tutte le Capitanerie di Porto di Abruzzo, Marche e Puglia affinché segnalino altri eventuali avvistamenti. Ma non abbiamo più notizie.

Ancora una volta il nostro Adriatico, quello che noi stessi abbiamo definito “il mare delle sorprese” o “delle meraviglie” ci ha regalato un’emozione inedita, un regalo affettuoso a chi, affettuosamente, da anni lo studia e lo ama.

A proposito, quella di Iesolo non era affatto la “nostra” megattera ma davvero una balenottera, come verrà confermato da foto scattate dalla Capitaneria di Porto locale.

Già pubblicato su Cetacea Informa

giovedì 29 dicembre 2005

Introduzione: Uno strano lavoro

Il 2 gennaio del 1997 è stato il mio primo giorno di lavoro alla Fondazione Cetacea, per la quale ora rivesto il ruolo di Responsabile Scientifico, Redattore-Capo di Cetacea Informa altre tre o quattro posizioni non sempre ben definite e chiare, nemmeno a me stesso.

Venivo da un anno e mezzo di lavoro come libero professionista nel campo della “consulenza ambientale”, un termine pomposo che significa in buona sostanza che spillavo quattrini, parecchi per la verità, a piccole e medie imprese (il cuore pulsante dell’economia italiana) affinché esse fossero in regola con le normative vigenti in materia di ogni tipo di inquinamento: acustico, dell’acqua, dell’aria, del suolo. E’ stato il mio primo lavoro serio dopo circa 3 anni di lavori disparati ma senza dubbio formativi (caratterialmente, quanto meno), fra cui annovero, con una punta di orgoglio e una certa, matura, incredulità: insegnante al CEPU e commesso in un negozio di acquari. Del primo conservo il ricordo di una simpatica deejay di una radio privata di Riccione, che studiava per affrontare l’esame di ammissione alla facoltà di Odontoiatria (il rapporto fra le due cose mi affascinava e sconcertava). Del secondo rammento la fatica immane di allestire un nuovo, enorme, moderno negozio di acquari a Cesena (che oggi ha chiuso) e l’agghiacciante dietro le quinte di un hobby dal quale comunque non sono riuscito a disamorarmi.

Mi sono faticosamente laureato nel marzo del 1992 con una tesi su un semi-sconosciuto merluzzetto, che risponde al nome comune di merlano, del nord-Adriatico. Tesi scelta con lucida determinazione solo per lo scarso impegno previsto per la sua stesura; ma che, del tutto inconsapevolmente, conteneva i germi di quello che la mia vita professionale sarebbe diventata, di lì a pochi anni: lo studio di una specie marina, e non di un mare qualunque, ma del mio Adriatico.

Non avrei mai pensato allora, che occuparmi di animali marini sarebbe diventata la mia professione, ma a ripensarci mi sembra di scorgere nei miei anni precedenti alla Fondazione Cetacea, come dei piccoli segnali, preannunci illeggibili allora, ma rivelatori adesso, a posteriori, di un futuro “in preparazione”. Segni del destino, credo li chiamerebbe qualcuno più fatalista di me.

Una tesi su un pesce, la passione per gli acquari, l’amore per l’Adriatico, l’infatuazione precoce per gli squali, tre mesi di volontariato (a cavallo fra il ’93 e il ’94) proprio per la Fondazione Cetacea, quando ancora era solo un ufficio di neanche 10 metri quadri, senza riscaldamento né bagno. Segnali, no?

E in effetti, nella trama della mia esistenza di quegli anni c’è come un filo rosso, visibile solo in piccoli punti e per brevi tratti, ma presente sempre. Indizi di quello che sarei diventato? Profezie? O semplicemente il maturare di una passione allora sconosciuta anche a me, ma che “tirava” fortemente” in una direzione precisa?

Fino a gennaio ’97 appunto, alla conclusione (che fu un nuovo inizio invece) di un percorso che può apparire scontata solo a chi questo percorso lo legge al contrario.

E così, da allora, mi occupo di animali; animali marini. E che animali! Delfini, squali, tartarughe, balene, più qualche stranezza qua e là: pesci luna, cavallucci e qualcos’altro. E forse penserete che sono fortunato, che un lavoro così non è nemmeno un lavoro, che capita a pochissimi, eccetera eccetera. E non sarò certo io a contraddirvi. Anche ora, dopo nove anni, ora che conosco i retroscena (la fatica fisica, la fatica mentale, le responsabilità, la politica, tanta, troppa politica, la perenne e frustrante carenza di fondi, gli animali sofferenti, gli animali morti…), anche ora sono consapevole della fortuna che mi è capitata, sebbene non credo affatto che mi sia solo “capitata”.

E anche ora ricordo benissimo i primi giorni di lavoro: il mio primo grosso incarico fu di allestire una mostra sugli squali. Così si discuteva di testi da scrivere, fotografie da scegliere, messaggi da dare, e tutto sugli squali, una mia passione silente che ora tornava fuori prepotente, per lavoro! E in auto, nei venti minuti che separano Rimini, dove vivo, da Riccione, mi ritrovavo a chiedermi: ma davvero mi pagano per fare questo?

Oggi non me lo chiedo più, ovviamente; ma non ho smesso comunque di amare il mio lavoro. Uno strano lavoro, spesso frenetico, a volte frustrante, sempre comunque intenso e multiforme: relazioni, articoli e protocolli da scrivere, ricerche da svolgere, animali da recuperare o da curare, mostre, progetti didattici e lezioni da organizzare, tesi (e tesisti) da seguire, contatti da tenere e mantenere, e tanto di più ma tutto sempre in qualche modo legato a loro, agli animali.

Animali che possono persino, col tempo e la stanchezza diventare routine; storie che nel contesto di un lavoro strano possono sembrare normali. Ma che se le guardi da fuori, con l’occhio della persona comune (che può essere anche solo quello di tua moglie, o di un amico) normali non sono.

E così può essere interessante leggerle (lo spero) e utile per me scriverle.

Perché di questo si tratta: di (stra)ordinarie storie di animali, con qualche divagazione su quello che vi ruota intorno.