lunedì 30 aprile 2007

La regina del Mediterraneo

La Balenottera comune (Balaenoptera physalus) è la vera regina del Mediterraneo. Grande, maestosa ma anche veloce (punte di circa 37 km/h) questo gigante raggiunge circa i 20 m nell’emisfero boreale e i 25 m nell’emisfero australe.
Ha una pinna dorsale piccola e falcata e molto arretrata e corpo lungo e affusolato tipico dei balenotteridi. Caratteristica particolare e inspiegata della specie è la colorazione bianca del lato destro della mandibola, rispetto al lato sinistro, che è invece grigio.
Possiede dai 260 ai 480 fanoni su ciascun lato della mascella, cioè le lunghe setole che le consentono di filtrare l’acqua in cerca di piccole prede (plancton, piccoli pesci e minuscoli gamberetti).
Diffusa in tutto il mondo, ma più comune nelle acque temperate e nell'emisfero australe nel Mediterraneo è presente soprattutto nelle acque occidentali.
Il ciclo riproduttivo è strettamente legato allo schema stagionale delle sue migrazioni: le nascite avvengono in inverno, nelle acque calde delle basse latitudini. La gestazione dura 11-12 mesi. Lo svezzamento avviene intorno ai 6 mesi. La maturità sessuale è raggiunta in entrambi i sessi tra gli 8 ed i 12 anni di età. Animale prevalentemente solitario, di abitudini quasi esclusivamente pelagiche, forma in rari casi gruppi di 2-3 individui.
Specie in assoluto più longeva tra i Cetacei, vive fino ai 90-100 anni.
Difficile pensare a un gigante simile in acque adriatiche, e in effetti, sebbene in realtà prediliga acque basse costiere, alle nostre latitudini non arriva quasi mai. Spulciando vecchi archivi, prima del ventesimo secolo si segnala uno spiaggiamento, in località sconosciuta, nel 1771, un altro a Trieste nel 1831. Un esemplare di quasi 13 metri si spiaggiò poi sull’Isola di Pag, in Croazia, nel luglio del 1862. Stranamente sulla stessa isola, ma circa cent’anni dopo fu rinvenuto un altro esemplare di 11,5 metri (nel 1953).
Venendo a anni più recenti, abbiamo avvistamenti e spiaggiamenti più recenti, o meglio, più accuratamente segnalati. Due balenottere si aggiravano alla foce del Po nel giugno del 1979, mentre nell’86 un giovanissimo di “soli” sette metri va a finire sulle spiaggie di Lido degli Estensi. Come dimenticare poi l’esemplare di 14 trovato morto fuori Cesenatico, il cui scheletro fa bella mostra di sé al parco Oltremare, proprietà della Fondazione Cetacea?
Per arrivare a quello che fu definito da noi stessi, l’anno delle Balenottere, il 2000.
Il 10 agosto la Fondazione Cetacea riceve notizia di un avvistamento nei pressi di Spalato, in Croazia, dove venivano avvistate in una insenatura ormai da una decina di giorni due Balenottere con ogni probabilità una madre con un piccolo. Misuravano infatti circa 20 m l’adulto e circa 7 m il piccolo.
Il 18 settembre ecco di nuovo l’allarme. Questa volta si tratta di un solo esemplare ma ci passa quasi sotto al naso. La Capitaneria di Porto di Rimini ci segnala infatti la presenza di una balenottera di circa 14 metri, ad appena un miglio e mezzo al largo di Bellaria, su un fondale di appena 7 metri!
Arriviamo ai primi di ottobre. Il 6 ottobre per la precisione, mentre le imbarcazioni preparano le attrezzature per la tradizionale “Barcolana” due o forse tre balenottere si fanno vedere all'ingresso del porto di Trieste. Si parla di un adulto e di un piccolo più forse un terzo esemplare.
Ma non è finita. Alla fine di ottobre il Ministero dell’Ambiente croato ci comunica l’avvistamento corredato di foto e di articoli di quotidiani locali, di un’altra balenottera solitaria che si aggirava, il 22 ottobre, in nord Adriatico. L’avvistamento è stato effettuato vicina alla città di Opatije, e le foto mostrano l’esemplare veramente vicinissimo alla costa.
Infine, nel mese di novembre, una balenottera di 10 metri, questa volte spiaggiata è stata rinvenuta a Karinsko More, una baia semi-isolata, nei pressi di Zadar, ancora una volta in Croazia.
Queste segnalazioni hanno un’importanza notevole che deriva dalla rarità di questa specie nelle acque dell’Adriatico.
Ora è passato qualche anno e noi speriamo ci tornino a trovare quanto prima.

martedì 17 aprile 2007

Il mio squalo "preferito"

In italiano si chiama verdesca, in spagnolo tintorera, ma chi scrive preferisce di gran lunga il suo nome inglese: blue shark, lo squalo blu. Perché blu, la verdesca (Prionace glauca) lo è davvero.
Il suo dorso, e soprattutto i suoi fianchi, sono di uno splendido colore blu brillante, con riflessi veramente affascinati. Colori e sfumature che però si colgono solo se si ha la fortuna di vederlo vivo, perché fuori dall’acqua la livrea cambia colore, scurendosi.
Classico squalo pelagico e di acque aperte, è un nuotatore attivo che può anche, soprattutto di notte, avventurarsi sotto costa a profondità che vanno dai 150 metri fino alla superficie.
Si muove frequentemente in aggregazioni senza una rigida organizzazione, formate generalmente da individui di un solo sesso. Questi gruppi si incontrano e si mescolano nella stagione degli accoppiamenti. E' capace, se disturbato o se avvista una preda, di incredibili scatti di accelerazione e velocità. Infatti, il corpo è tipicamente snello, con muso allungato e caratteristici grandi occhi.
Può raggiungere una lunghezza, accertata, di almeno 3,8 metri, ma si pensa possa arrivare addirittura a 6.
La bocca piccola, provvista di numerosi denti minuti, triangolari e seghettati è quella di un vorace predatore che si nutre di ogni piccolo pesce, soprattutto acciughe e sardine, e di calamari, ma non disdegna mammiferi marini, piccoli squali, tartarughe e uccelli acquatici. Preferisce normalmente specie pelagiche sebbene si cibi volte anche di pesci ed invertebrati bentonici.
Molto variabile il numero di piccoli che una femmina può partorire addirittura da 4 a 135 (ma generalmente attorno a 30), ed esso in parte può dipendere dalla taglia della madre. I piccoli alla nascita misurano circa 40 cm.
E' diffusa in tutto il mondo, tranne nelle fredde acque dei poli, ma è molto comune soprattutto nella fascia compresa fra i tropici e direttamente a nord e a sud di essi. E' uno degli squali più comuni lungo le coste italiane.
In Adriatico sono comuni soprattutto le femmine o individui di piccola taglia, infatti nelle acque basse e ricche di cibo del nord, le mamme-verdesche vengono a partorire i piccoli. E’ accertato effettivamente che il nord Adriatico sia una nursery area per questa specie.
Le verdesche sono di solito anche prede comuni nelle gare di pesca sportiva, e grazie a questo un campagna di marcatura di verdesche è stata condotta nei primi anni novanta in Adriatico, in collaborazione con il Big Game. Sono state marcate un totale di 467 esemplari in un arco temporale di 6-7 anni. Venti di queste sono state successivamente ricatturate ed hanno quindi permesso di “completare” il dato. In realtà da quella campagna di marcatura è emerso come le marcature effettuate da pescatori, quindi da personale non tecnico, non siano affatto affidabili dal punto di vista scientifico. La compilazione dei dati sullo squalo pescato avveniva in maniera superficiale e con inesattezze che di fatto invalidavano il dato stesso. Di fatto però, grazie la cattura di molti neonati, questa campagna di ricerca ha per la prima volta individuato la nursery area di cui si parlava più sopra.
Le catture così frequenti di verdesche in gare di pesca sportiva dei primi anni novanta, che hanno permesso lo svolgimento di questa come di altre campagne di ricerca, indicavano però di per sé stesse un trend di catture in queste competizioni molto alto. Tutto ciò, lo ripeto, in un’area biologicamente delicata e importante come una nursery. E’ anche a causa di queste battute di caccia che allora potevano portare a decine di prede (in genere individui piccoli e immaturi), e che oggi sono ormai ridotte a catture sporadiche e occasionali, che la verdesche sembrano ormai decisamente rarefatte nel nostro mare.

martedì 10 aprile 2007

Tesori in spiaggia (2)

Abbiamo visto in un post della settimana scorsa quali e quanti siano i dati che la Fondazione Cetacea ha accumulato nella sua storia, relativamente ai Cetacei spiaggiati sulle coste romagnole e marchigiane. Ed è stato sottolineato come tutti questi esemplari ritrovati in spiaggia già morti, siano comunque importanti per la ricerca scientifica.
Abbiamo detto che 143 delfini in 19 anni costituiscono un buon patrimonio di dati, informazioni e campioni biologici. Che dire allora delle tartarughe marine? Come vedremo, le cose sono forse ancora più interessanti, almeno dal punto di vista… quantitativo.
L’area che Cetacea copre per le tartarughe marine è cambiata diverse volte nel corso degli anni, a seconda delle disponibilità e della collaborazione con altri enti. Attualmente vengono segnalate alla Fondazione tutte le tartarughe sul territorio marchigiano (ma meno verso sud, purtroppo) e sulla costa della Romagna fino alla foce del Reno (cioè le provincia di Rimini, Forlì-Cesena e Ravenna). Nella provincia di Ferrara lavora invece un altro ente: Archè.
I dati vanno dal 1986 a oggi, ma un lavoro intenso e sistematico è stato fatto solo a partire dal 1993. Questi dati, soprattutto se confrontati con gli spiaggiamenti dei delfini, sono impressionanti. Le tartarughe marine, tutte della specie Caretta caretta, sono in totale 1089. Considerando solo quelle dal 1993 al 2006, si ha una media per anno di quasi 75 esemplari. Se già questa sembra alta, le cose peggiorano se si considera invece solo un periodo più recente. Ebbene, dal 2001 al 2006 la media sale a 108 tartarughe morte all’anno. Questo valore indica che c’è un andamento in aumento di questo fenomeno, aumento che però non è detto che sia legato a un aumento delle tartarughe in mare, o peggio a una maggiore mortalità delle stesse. Il maggiore numero di tartarughe rinvenute negli ultimi anni potrebbe invece essere un indice sia del buon lavoro svolto dalla Cetacea nella sua presenza sul territorio, sia di una maggiore sensibilità verso queste problematiche, che porta a una maggiore attenzione e puntualità nelle segnalazioni degli spiaggiamenti.
Da notare che è relativamente più facile che una tartaruga si spiaggi ancora viva. Infatti sul totale di 1089 esemplari, 290 erano animali ancora in vita. In genere una piccola percentuale di questi, attorno al dieci per cento, sono animali che non vengono nemmeno ospedalizzati, in quanto in genere muoiono nell’arco di poche ore a causa delle condizioni molto gravi in cui vengono ritrovati. Gli altri vengono ospitati nelle vasche dell’Ospedale delle Tartarughe, da dove, una volta guariti sono poi riportati in mare.
Ovviamente a fronte di numeri di tartarughe spiaggiate così alti, viene logico chiedersi i motivi di questi eventi. E qui che i dati cominciano a non dare più risposte. In genere infatti sul totale delle tartarughe trovate già morte, in nove casi su dieci, la carcassa è in stato di avanzata decomposizione. Il che non permette di formulare ipotesi valide sulle cause. Anche se molti sono comunque i riscontri di animali con acqua nei polmoni, quindi annegati. Questo può far pensare a intrappolamenti in strumenti da pesca. Probabilmente, insieme alle cause naturali, i maggiori responsabili di questi fenomeni.

giovedì 5 aprile 2007

Titania

Stiamo ancora seguendo tre delle sei tartarughe che l'estate scorsa abbiamo liberato, con un trasmettitore satellitare sul carapace.
Di tutte la più entusiasmante è senz'altro Titania. Questa tartaruga, una femmina adulta, è stata liberata il 20 ottobre 2006 dalla spiaggia di Numana, vicino ad Ancona. Titania è andata da un Adriatico… all’altro. Il golfo di Gabès, in Tunisia è quanto di più simile si trovi, in tutto al Mediterraneo, al nostro Adriatico. Acque basse, fondali piani e sabbiosi, acque trofiche. Non possiamo dire che Titania era proprio lì che volesse andare. Ma dal momento in cui è uscita dal canale di Otranto, è sembrata molto decisa nel suo infaticabile nuoto. Ora è proprio in quel golfo, in questo momento esattamente al confine fra Libia e Tunisia, e non possiamo non immaginarcela “pascolare” sul fondo come faceva alle nostre latitudini.
Che incredibile viaggio sta compiendo questa tartaruga. I dati dicono che ha percorso, in 166 giorni di viaggio, circa 2963 km, pari a una distanza in linea retta, di quasi 1148 km.
Ha passato 114 giorni in acque italiane, 15 in quelle greche, 14 in territorio maltese e per ora 21 in acque libiche. Una tartaruga davvero internazionale.
Qui potete vedere il suo... percorso in 3D. Da notare come abbia evitato il bacino ionico, che ha profondità di 3-4000 metri, "passando" lungo le coste di Calabria e Sicilia.

lunedì 2 aprile 2007

Tesori in spiaggia

Sin dagli inizi delle proprie attività, la Fondazione Cetacea, interviene per recuperare carcasse di delfini ritrovate in spiaggia, o alla deriva in mare. Con il tempo si è consolidato un ottimo rapporto con le autorità (Capitanerie di Porto e Uffici Cites del Corpo Forestale dello Stato) a coprire un’area di competenza che comprende le coste emiliano-romagnole e quelle marchigiane. Il perché si faccia questo lavoro crediamo sia ormai abbastanza evidente. Nello studio delle specie marine ogni dato è prezioso e imperdibile, ogni spiaggiato che ci si lascia scappare è una perdita di informazioni, e in un campo dove le informazioni sono così poche diventa un delitto lasciarsele sfuggire. Ecco perché ci si prodiga per non perdere mai una segnalazione (primo passo, comunque non scontato, in quanto non tutti sanno a chi segnalare un delfino, ma anche una tartaruga, in spiaggia, e nemmeno che deve essere segnalato) e poi per intervenire sempre sulle segnalazioni stesse.
In quasi venti anni di attività ormai il database che contiene tutti gli spiaggiamenti su cui siamo intervenuti comincia a diventare corposo, e anche le informazioni che si possono trarre diventano preziose.
Intanto il numero di spiaggiamenti dal 1990 ad oggi è pari a 143 esemplari. Tolti i tre delfini già ritrovati nell’anno in corso fanno una media di 8 – 9 spiaggiamenti all’anno. Ma la media è ingannevole, in quanto i primi anni essendo la Fondazione meno conosciuta, giungevano meno segnalazioni. Inoltre il nostro territorio d’intervento si è espanso col tempo e le Marche sono interamente coperte sono negli ultimi anni, grazie anche alla proficua collaborazione con l’attivissima Protezione Civile di Numana (AN). Se infatti calcoliamo la media solo negli dal 2001 al 2006, allora questa sale a quasi 15. Insomma ogni anno su queste coste si spiaggiano in media 15 cetacei. Non sono pochi.
Chiaramente se andiamo vedere a quali specie essi appartengono, è ovvio che la parte del leone è rappresentata dai tursiopi. Essendo questa specie l’unica regolarmente presente in alto Adriatico, chiaramente tutti gli spiaggiamenti sono di questa specie, mentre alte comparse restano occasionali. In definitiva quindi abbiamo ben 119 tursiopi, che rappresentano l’83% del totale, ai quali si aggiungono 7 grampi (compresa Mary G. ovviamente), 5 stenelle striate, 1 esemplare rispettivamente di capodoglio, balenottera comune e delfino comune. Il conto è completato da 9 esemplari di specie indeterminata: significa che sono esemplari che sono stati smaltiti prima che noi potessimo intervenire direttamente e di cui non si hanno foto.
Riguardo alle condizioni delle carcasse, è da notare che solo 14 di queste (neanche il 10%) erano in buone condizioni, e quindi potevano fornire una serie completa di campioni e di informazioni biologiche. Ben 104 erano invece in avanzata decomposizione o peggio. Significa che sono animali morti da diverso tempo e che arrivano a riva diversi giorni o settimane dopo la morte, e su quali si può lavorare ben poco. Infine 14 sono i delfini che si sono spiaggiati ancora vivi, con esiti nefasti per tutti, tranne che per Mary G.
Ricordo che segnalare prontamente un animale spiaggiato alle autorità, consente a noi di svolgere tempestivamente e senza intoppi il nostro lavoro. Rinnovo quindi l’invito a chiunque si imbatta in uno di questi insoliti eventi a segnalarlo senza indugi.