sabato 27 febbraio 2010

L'influenza sugli squali

Per il vaccino contro l'H1N1 utilizzato lo squalene.

Sul vaccino contro l'influenza A, o virus H1N1, ne abbiamo lette e sentite tante. Dal fallimento della campagna di vaccinazione, alla vera o presunta inutilità del vaccino stesso, alle attuali scorte di dosi, rimaste largamente inutizzilate. Diciamo che il sospetto che la campagna pro-vaccinazione non fosse altro che un modo per fare guadagnare parecchi soldi alle case farmaceutiche resta forte, sebbene mai dimostrato.
Ora il sito sudafricano Simply Green ci informa che la produzione massiccia del vaccino anti-H1N1 ha avuto altre conseguenze spiacevoli, e su soggetti inaspettati. Sembra infatti che a pagare le conseguenze siano stati anche... gli squali. L'articolo di Simply Green comincia chiamando gli squali... mammiferi, e già questo mi aveva invogliato a piantare lì la lettura. Ma il proseguo è interessante.
Pare infatti che uno dei componenti essenziali del vaccino per l'H1N1 sia lo squalene, una sostanza che si ottiene principalmente dal fegato degli squali, appunto.
Le case farmaceutiche non hanno rivelato quanto squalene hanno usato, ma ne hanno ammesso l'uso e la fonte: gli squali di profondità.
Specie come il centroforo, uno dei migliori "fornitori" di squalene, sono già fortemente minacciate e da tempo inserite nella Red list delle specie in pericolo di estinzione.
Ma a cosa serve lo squalene nel vaccino? Funziona da coadiuvante, cioè la presenza di questa sostanza aumenta la risposta immunitaria, dunque l'efficacia, del vaccino. In altre parole sarebbe un modo di dimuire la quantità di vaccino necessaria, così da avere un maggiore numero di dosi disponibili per un'ampia campagna di vaccinazione.
Purtroppo però, a spese degli squali.

lunedì 22 febbraio 2010

Un tappeto di alacce morte

Il freddo e il… riscaldamento globale, responsabili della moria di pesci in Adriatico

Chi, nei freddissimi giorni di fine febbraio, si fosse avventurato per una passeggiata sulle spiagge romagnole, si sarà certamente imbattuto in una scena certamente sbalorditiva. Il bagnasciuga, a Riccione, così come a Rimini, a Viserba e su fino a Cesenatico, era letteralmente ricoperto di pesci morti.
Tutti animali di discrete dimensioni, attorno 15-20 centimetri e anche di più, i pesci morti formavano in qualche punto un vero e proprio tappeto. Uno spettacolo macabro che ha lasciato non poche persone prima sgomente e poi vogliose di sapere cosa era successo.
Superato lo sbigottimento per la triste visione, una cosa saltava subito agli occhi: tutti i pesci erano uguali. Cioè non si era di fronte a una generale moria di pesce, ma un’unica specie era stata colpita dal fenomeno. Era già questo, un primo e fondamentale indizio.
I pesci erano evidentemente sardine o sarde, ma gli esperti che si sono occupati di spiegare il fenomeno, in particolare i biologi della Daphne di Cesenatico (ARPA Emilia-Romagna) li hanno ben presto identificati come appartenenti alla specie Sardinella aurita, detta comunemente Alaccia.
L’alaccia, come altre specie della sua stessa famiglia, appartiene alla categoria di pesce comunemente definito "pesce azzurro". Assomiglia molto alla più comune sardina (Sardina pilchardus), ma da questa si distingue per una riga mediana dorata che separa il dorso blu-verdastro dai fianchi argentati.

Cosa dunque aveva ucciso le alacce in quei freddi giorni di fine gennaio? Le cause sono in effetti legate proprio alle temperature e anche al… riscaldamento globale. Questo pesce si trova in tutto il Mediterraneo e predilige acque calde, per cui è più facile trovarla nei bacini meridionali. Negli ultimi anni però, proprio a causa dell’aumento generalizzato delle temperature, si è spostata anche in bacini nei quali una volta era molto rara, come il mar Ligure e ovviamente l’Adriatico.
Abbiamo dunque un pesce che è comune in Mediterraneo, che predilige acque calde, e che negli ultimi anni ha potuto spostarsi anche in nord Adriatico. Ma a fine gennaio, quest’anno, le temperature del nostro mare sono state molto, molto fredde, parliamo di 5 – 5,3 ° C. E a queste acque gelide, un pesce avvezzo a mari un po’ più gradevoli, non può resistere. Da qui, improvvisa ed inevitabile, la strage.

Tra l’altro la cosa si era già verificata, ma in misura minore, anche nell’inverno del 2002. La moria ha fatto la sua comparsa, i primi giorni di febbraio, anche nelle acque marchigiane, per poi esaurirsi gradualmente.
Smentite dunque le comprensibili, ma affrettate ipotesi di avvelenamenti o inquinamenti vari; anche se un minimo di colpa ce l'abbiamo comunque. Senza cambiamenti climatici le alacce non sarebbero state qua, e dunque...

La foto in alto l'ho fatta davanti alla sede di Fondazione Cetacea, una ventina di giorni fa

lunedì 15 febbraio 2010

Mi serve un Angel

E' un momento davvero difficile della mia vita, e tutto il mio tempo è per persone a me care che in questo momento stanno soffrendo. Non ho molto tempo nè per il lavoro, nè per... il resto, compreso il blog. Pensare che avrei qualche bello spunto!
Così ne approfitto per un post veloce e non... di mare. Una mia cara amica, Antonietta Righetti (che tra le altre cose mi sta dando una mano per quello che potrebbe diventare il mio nuovo libro) ha scritto e pubblicato un racconto, sotto forma di prezioso libretto.
A me l'ha inviato in anteprima e ricordo che quel giorno l'ho stampato con l'idea di leggerlo a casa. Poi invece ho iniziato le prime righe in piedi vicino alla stampante... e alla fine non sono riuscito a metterlo giù e l'ho finito.
A me è piaciuto molto.
E' una bella boccata di aria fresca, mi ha dato la sensazione di sedermi su una panchina silenziosa e ombreggiata mentre tutti intorno corrono e sudano.
E trasmette un bel messaggio.

lunedì 8 febbraio 2010

L'articolo

Dalla visita e dall'intervista, di cui parlavo al post precedente, è già uscito un primo articolo, con tanto di galleria fotografica.
Eccolo qua: http://tinyurl.com/yfl8wj9

Grazie Beatrice (anche per le abbondanti scorte di cioccolato svizzero!)

sabato 6 febbraio 2010

Due chiacchiere con una amica sull'Adriatico

Mercoledì e giovedì scorsi è venuta a trovarmi Beatrice Jann, un'amica con la quale sono in contatto ormai da molto tempo, anche se ci siamo incontrati di persona solo due o tre volte.
Lei fa tante cose, tra le quali la giornalista più o meno free-lance, ma si guadagna da vivere studiando gli ambienti di acque dolci del suo paese. Poi, per suo interesse personale, e a sue spese, da nove anni (se non sbaglio) vola a Capo Verde a studiare le megattere. Cosa che lei racconta quasi come se fosse normale, ovvia; chi di noi non studia le megattere, di tanto in tanto?

Le ho fatto visitare la Fondazione Cetacea e il nostro centro Adria, siamo saliti in collina a trovare Mary G., a Oltremare, e visto che eravamo lì ci siamo intrufolati nell'esposizione (Hippocampus) di vasche di cavallucci marini dove nel buio e nel silenzio ci siamo lasciati rapire dalla magia e dal fascino di questi pesci straordinari.

Ma abbiamo soprattutto chiacchierato. E' bello trovare ogni tanto chi conosce questo lavoro e ne condivide soddisfazioni e difficoltà. Qualcuno al quale se dici che spesso ti viene voglia di mandare tutto a quel paese e trovarti "un lavoro normale" non ti guarda come se fossi pazzo.

Abbiamo anche registrato un'intervista per la radio svizzera. In realtà è stata un'ulteriore occasione per sederci a parlare di mare e di Adriatico, per più di un'ora, solo davanti a un microfono.
Ho risposto a ruota libera e anche divertito alle sue domande. I pesci dell'Adriatico, poi le tartarughe, gli squali, i delfini, i capodogli, e poi perchè questo mare è così particolare, e perchè soffre, soprattutto da trent'anni a questa parte, ferito gravemente dalle pugnalate inferte da noi stessi.

Purtroppo alle fine si finisce sempre lì: i danni causati dall'uomo all'ambiente naturale, le specie in pericolo e quelle che ormai semplicemente non ci sono più. Difficile, anzi impossibile, ormai parlare di ambienti e di specie animali senza parlare di conservazione.
Non ho idea di come sia venuta fuori l'intervista, siamo solo andati a ruota libera, saltando di qua e di là. Solo l'ultima domanda mi ha messo in difficoltà, e non è certo la prima volta che qualcuno me la pone: cosa può fare ognuno di noi, nel suo piccolo?
Questa è una domanda alla quale qualunque risposta suona come minimo banale. Come minimo.
Prima di tutto penso che ormai la situazione sia a un punto tale che, se non ci si muove a livelli più alti, istituzionali e anche e sopratutto transnazionali, quello che possiamo fare noi sia poco più che sistemarci in qualche modo la coscienza.
Sì, sì, serve tutto. I nostri comportamenti quotidiani devono tenere conto dell'emergenze ambientali che il pianeta affronta, e ognuno deva fare la sua parte, e io nel mio piccolo, oltre al mio lavoro, lo faccio anche nel privato.
Ma credo che quello che serve come singole persone sia invece più un cambiamento a livello mentale, culturale, e poi di conseguenza comportamentale. Ed è qui che la mia risposta diventa di solito pindarica e forse poco pratica. Forse banale. La mia parola chiave è rispetto. Comprendere che l'uomo è una specie TRA le altre e non SULLE altre. Questo concetto è spiegato benissimo per esempio nel libro "Il dilemma della Sfinge" di Notarbartolo di Sciara e Schweitzer.
Noi e le altre specie dunque, sullo stesso livello, parte degli stessi equilibri. Imparare a rispettare questi equilibri e tutti gli elementi che li compongono è il presupposto per vivere il nostro ambiente: non sfruttarlo a nostro vantaggio, non modificarlo oltre il consentito (oltre gli equilibri), non dominarlo, ma VIVERLO. Semplicemnte esserne parte, ingranaggio fra gli ingranaggi, in un meccanismo in cui ogni componente è essenziale e in cui tutto è in equilibrio (sì, equilibrio è un'altra parola chiave per me).
Vedete come è facile banalizzare, rispondendo a una domanda come quella?

lunedì 1 febbraio 2010

Un seguace del Darwinismo

Poster anti-darwinisti a Lugano.


L'amica Beatrice, biologa svizzera, mi invia questa foto, presa da una fermata di autobus, a Lugano. E pare che ce ne sano parecchire in giro...
Devo dire che mi ha dato dei leggeri brividi lungo la schiena. Resto sempre ammutolito di fronte agli abissi dell'ignoranza, al non voler vedere, al non voler comprendere.
Seguite questo link per leggere la notizia riportata comunque su diversi siti.
Ecco il sito dell'iniziativa l'inganno dell'evoluzione.
Pare che l'autore di queste perle sia un personaggio turco, tale Harun Yahya, autore di perle di questa portata: "Il darwinismo è un’antica religione sciamanica costruita su superstizioni di ogni sorta. Le origini dello sciamanesimo risalgono a circa 50.000 anni fa."
E ancora: "Da quando la teoria dell’evoluzione è stata avanzata la prima volta, i progressi in tanti rami della scienza hanno demolito le pretese della teoria, ad una ad una. Eppure, il darwinismo ha ancora dei seguaci. In genere, quando una teoria scientifica viene dimostrata falsa, la si archivia e finisce ogni discussione e dibattito in merito. Ma non è andata così con il darwinismo. Per quanto possano essere forti e indiscutibili le prove contro la loro teoria, gli evoluzionisti le ignorano e continuano a difendere le loro credenze con fervore."
E se vi sembra un povero pazzo, sappiate che i suoi libri hanno venduto 8 milioni di copie, nel mondo. Chiamalo scemo...
Io comunque, nonostante tutto, resto un seguace...