mercoledì 28 aprile 2010

Disastro Adriatico

I dati non mentono sullo stato del mare Adriatico

Pochi giorni fa, in previsione di una intervista televisiva (che poi ho registrato ieri mattina) in cui si sarebbe parlato della situazione del mare Adriatico, ho ripreso in mano il libro “Un altro mare” uscito l’anno scorso, a cura dell’Associazione “Tegnue di Chioggia”, della Regione Veneto e dell’Ispra.
Mi interessava soprattutto il capitolo intitolato “Un mare che cambia”, che riporta le testimonianze di naturalisti e pescatori – su come sono mutate le condizioni biologiche del nostro mare – ma anche le statistiche di pesca e anche lo “stato delle risorse biologiche” secondo il rapporto della SIBM (Società Italiana Biologia Marina) del 2008.
Come sta dunque, l’Adriatico? Male, direi.
In particolare il bacino centro-settentrionale, proprio quello più prezioso e delicato, con le sua acque basse ricche di nutrienti e rifugio di specie importanti, mostra una “situazione con notevoli segni di criticità”.
Tutti i dati, almeno dal 1948 ad oggi mostrano l’inesorabile declino dei pesci ossei (i “classici” pesci) e dei cefalopodi (seppie, calamari, polpi). Ancora più marcato il crollo delle presenze dei pesci cartilaginei (squali e razze), veramente a livelli disastrosi dai primi anni del 21esimo secolo ad oggi. Tra l’altro squali e razze sono in declino anche nel bacino meridionale, dove invece le cose vanno meglio per gli altri gruppi animali.
L’indagine prosegue anche con l’analisi di alcune specie importanti dal punto di vista commerciale e la conclusione è che “tutti gli stock ittici menzionati sono completamente sfruttati e prossimi al sovra-sfruttamento, ad eccezione della sardina, che è già effettivamente sovra-sfruttata”.
La pesca intensiva dunque, come causa principale di questo quadro nerissimo del bacino nord Adriatico. Ad essa si aggiungono e contribuiscono altre cause. L’eutrofizzazione e le conseguenti gravi carenze di ossigeno sul fondale (anossie bentoniche). L’utilizzo di attrezzi da pesca particolarmente dannosi: turbo-soffianti per la pesca delle vongole, reti a strascico, rapido (un tipo di strascico più piccola ma con una “rastrelliera metallica” sul davanti che ara il fondale). Tutti strumenti che lasciano la devastazione dove passano, con aree di fondale deserte e senza vita. Infine i prelievi di sabbia per i ripascimenti delle spiagge, anch’essi dannosissimi in quanto causa di distruzione di habitat importanti (le praterie di fanerogame, i letti di ostriche…).
I grafici delle statistiche di pesca sono da pianto. Linee in discesa ovunque. Gli sgombri sono passati dalle 600-1000 tonnellate negli anni ’50-‘’60 alle 100 attuali, le vongole dall 100.000 tonnellate dei primi anni ’80 alle 20.000 attuali, le razze dalle 120 tonnellate del primo dopo-guerra al quasi zero di oggi…
Da notare che nei grafici si nota come, nei primi anni subito dopo i conflitti mondiali, durante i quali praticamente non si pescava, le catture siano a livelli altissimi, a dimostrazione delle capacità di ripresa delle popolazioni, avendone le possibilità. Ma oggi molti livelli sono talmente bassi che forse non basterebbe nemmeno questo.
Che mare lasciamo ai nostri figli? C’è ancora tempo per fermare il trend? Ma soprattutto, c’è la volontà di farlo?

venerdì 16 aprile 2010

Conversazione alla radio

E' andata in onda, divisa in tre parti, l'intervista di cui parlavo in questo post
Nella prima parte si parla soprattutto di Adriatico.


Nella seconda si discute di tartarughe.

E nell'ultima parte il discorso va sui Cetacei

Buon ascolto.

giovedì 1 aprile 2010

Un educativo pungo nello stomaco

Il film "The cove", documentario-denuncia che vale la pena di vedere. Ma raggiungerà il suo scopo?

Qualche settimana fa ho ricevuto una richiesta da un giornalista che scriveva a proposito dell'oscar al film-documentario "The cove". Mi chiedeva se avevo visto il film e in ogni caso se ritenevo che film denuncia come questi (e come "Sharkwater", ad esempio) potessero davvero essere utili nella lotta per la conservazione.
Non avevo visto il film, allora, ma rispondevo così "Ovviamente la storia raccontata nel film è nota da tempo, e credo se ne parli, non solo negli ambienti ristretti della "scienza" e della conservazione, già da un po'. In questo hanno aiutato molto i nuovi strumenti legati alla rete: i blog, facebook, etc.).
In ogni caso credo che la battaglia per la conservazione e la tutela dell'ambiente del nostro maltrattato pianeta sia talmente dura, che ben vengano nuovi strumenti come i film.
L'impatto visivo è forte e immagino possa funzionare, perchè prima crea un'emozione che è "terreno fertile" perchè il messaggio passi e attecchisca.
Il mio dubbio è però legato anche al senso di frustrazione che coglie spesso chi vede questi film (il film Sharkwater ne è un esempio eclatante): "drammatico, terribile, ma cosa posso fare io? Più il problema è grande, più si può sentire inadeguato e dunque in qualche modo "assolto" l'eventuale spettatore. Almeno questa è una mia impressione
Mi chiedo poi che tipo di interesse suscitino questi film sui potenziali spettatori. Nel senso, ok secondo me sono ben fatti e forse funzionano su chi li va a vedere, ma quanti li vanno a vedere? Quanti hanno voglia di andare al cinema non per divertirsi o svagarsi?"

L'articolo, uscito su OggiScienza a firma Mauro Colla, potete leggerlo qui.

Due giorni fa, anche stimolato dall'articolo, ho visto finalmente il documentario. Come ormai noto, il film documenta per la prima volta (ma le immagini girano sulla rete ormai da due-tre anni) l'assurda strage di delfini perpetrata in una piccola baia di una cittadina giapponese, Taiji. Tra l'altro, pur conoscendo la storia, non sapevo che i numeri fossero così drammatici: si parla di 23.000 delfini uccisi ogni anno.
Dico subito che mi è piaciuto. L'ho trovato ben fatto, sapientemente costruito. Ci sono ovviamente scene molto crude e altre davvero toccanti, mo ho apprezzato che non si sia voluto spingere troppo su queste e non si è mai passato il limite oltre il quale la documentazione può diventare macabro spettacolo fine a se stesso.
Non voglio svelare troppo del film, perchè prima o poi girerà in Italia e consiglio a tutti di vederlo. Ho trovato molto interessanti e ben sviluppate le tematiche che fanno da contorno a questa storia: il peso che l'industria dei delfinari ha su tutta la vicenda, le assurde pretese del Giappone all'International Whaling Commission e anche la sua forza nel comprare voti delle piccola nazioni, la questione della carne di delfino avvelenata dal mercurio. C'è qualche forzatura (il racconto della delfina Cathy, l'interprete dei telefilm di Flipper, che "si suicida" fra le braccia del protagonista, Ric O'Barry) ma il film è ben centrato: un bel pugno nello stomaco per chi non conosce la vicenda o pur conoscendola preferiva non vedere.
Ovviamente la domanda adesso è: ok, ora lo sa tutto il mondo quello che succede a Taiji, ma si fermeranno per questo?