venerdì 27 agosto 2010

Una fattoria in mezzo al mare

Gli allevamenti cileni di salmoni, e non solo quelli, mettono a rischio l'ambiente naturale

Fino a qualche anno fa sembravano la soluzione di ogni problema. Il mare è troppo sfruttato e si sta impoverendo? Perchè invece che pescare i pesci selvatici non li alleviamo?
Bello, no? Non servono più prelievi in natura e, molla ancora più efficace, si possono ricominciare a guadagnare dei gran bei soldoni. Soldoni che con il declino drammatico della pesca mondiale sembravano cominciare a venire meno. Dunque via con le grandi “fish farm”, e pure i consumatori più coscienziosi possono continuare a mangiare il pesce senza più il senso di colpa per contribuire a depredare le scarse risorse marine.

Ben presto però, il business dell’allevamento in mare, perchè questo è subito e soprattutto diventato, un grosso affare, ha cominciato a mostrare i suoi lati negativi. Ormai gli esempi si sprecano, e valga fra tutti quelli che qui riporto, reso noto recentemente dal Max Planck Institute.

Il Cile è uno dei massimi produttori mondiali di salmoni di allevamento. Ne esporta, solo verso gli USA, per un valore di oltre due miliardi di dollari. La zona con la massima concentrazione di impianti si trova nell’area, ricca di fiordi, della provincia di Aysen, in Patagonia (provincia che in massima parte, ma non in quella acquatica, è classificata come parco nazionale). Da notare che la gran parte degli allevamenti che invece si trovavano a nord del Cile, hanno recentemente chiuso i battenti a causa dell’ISA (Infectious Salmon Anaemia), un virus che causa anemia nei salmoni (negli allevamenti i salmoni sono concentratissimi, dunque i virus hanno vita facile). A proposito, il salmone allevato è quello altlantico, qui alieno per il Cile, un ulteriore rischio per l'ecosistema naturale che lo "ospita".

In ogni caso, ben presto è stato chiaro in quali modi, purtroppo più di uno, questa concentrazione di allevamenti sta modificando e danneggiando l’ambiente e molti suoi abitanti. Per esempio, Heike Vester, ricercatrice norvegese che studia i leoni marini in quell’area fa notare, con fervore, come i giovani leoni marini restino spesso impigliati nelle reti che circondano gli allevamenti, restando soffocati. Spesso persino quando riescono a liberarsi, si portano con sè pezzi di rete che possono successivamente soffocarli o impedire loro i movimenti.

Questo si aggiunge ad altri negativi effettivi della farm sull’ambiente, purtroppo oramai già ben noti. Gli eccessi di cibo, e i grossi quantitativi di feci prodotte dai salmoni possono essere trasportati via dalle correnti e andare a modificare, alterandone le catene alimentari, le aree limitrofe. Lo stesso dicasi, con effetti ancora peggiori, per l’elevato utilizzo di medicinali e pesticidi che l’elevata concentrazione di salmoni necessariamente richiede.

Come se non bastasse, le misurazioni acustiche effettuate nell’area hanno evidenziato un problema ulteriore. Il rumore prodotto dalle navi che vanno e vengono dagli allevamenti, e dai generatori per la conservazione e la distribuzione del cibo, è costante e di elevata intensità. Questi disturbi sonori possono impedire le comunicazioni fra i mammiferi marini, che possono decidere di abbandonare quell’area. E parliamo di specie a rischio come la balenottera azzurra, (Balaenoptera musculus), la megattera (Megaptera novaeangliae), la balenottera boreale (Balaenoptera borealis), il lagenorinco australe (Lagenorhynchus australis) il cefalorinco eutropia o delfino del Cile (Cephalorhynchus eutropia).

Ancora una volta viene da pensare, con sconforto, come per ragioni di profitto ci si lanci in imprese senza prima studiare i possibili effetti, anche e soprattutto sull’ambiente, di queste attività. Non credo fosse difficile prevedere come gli accumuli di cibo e di rifiuti prodotti da queste strutture avrebbero causato problemi all’ambiente circostante. E lo stesso vale per gli altri “effetti secondari”… Ma almeno possiamo essere contenti perchè gli allevamenti riducono la pressione della pesca sugli ambienti naturali? Mica tanto. Adesso un terzo del pesce pescato nel mondo serve come nutriente per i pesci di allevamento. Un bel autogol, davvero.

mercoledì 11 agosto 2010

Libri lungo il cammino

Da qualche settimana mia figlia di 9 anni sta male, e proprio in questi giorni è ricoverata di nuovo in ospedale. Non ne voglio parlare qui, ma a parte il fatto che questo è anche il motivo per cui ho trascurato da un po’ di tempo il blog, questa situazione mi porta a passare diverso tempo a casa. Infatti o sono in ospedale con lei, o sono a casa con gli altri due figli che hanno 11 e 3 anni e dunque non possiamo lasciare da soli per molto tempo.
Così, nelle ore a casa mi capita di trovare dei ritagli di tempo per cose per le quali di solito non ne ho mai. E ieri ho dato anche una sistemata ai miei libri. In casa abbiamo libri principalmente in due stanze. In salotto ci sono molti libri miei e di mia moglie, quasi tutti di narrativa e diversi saggi, più la sempre crescente collezione di libri per ragazzi di mia figlia, la più grande. Ci sono poi diversi libri “dormienti” sui comodini, uno o due quasi sempre in bagno, altri abbandonati nella camera dei bimbi. Poi c’è la piccola stanza in fondo al corridoio.
Questa stanzetta ha, al momento, tre funzioni: è il ripostiglio delle cianfrusaglie (giocattoli ingombranti, scarpe, borse e zaini, e altro; da due mesi è la stanza di Baffo, il nostro gattino; infine c’è il mio angolino, quelo che vedete nella foto, con una piccola scrivania, il pc e la stampante, uno scaffalino da parete con i miei CD (off limits per i bimbi), una piccola libreria e la mia mensola.

I libri di questa stanza non sono quasi mai di narrativa. Chi la fa da padrone è il mare, anche se ci sono anche altri argomenti, più o meno scientifici. Mi piace guardare e riprendere in mano e sfogliare questi libri, perchè moltissimi di loro per me rappresentano qualcosa, una storia, un periodo della mia vita, un ricordo di qualcuno.

Sulla libreria ci sono ad esempio tutti i miei libri di etologia e comportamento animale. Ricordi di un vecchio esame per l’accesso dottorato in etologia (non passato…) ma ripresi in mano molto volte per curiosità, interesse o ricerche. Nello scaffale sotto, la mia collezione della rivista Adriatico, per la quale scrivo, e il gruppone di libri sugli squali. Ne ho molti, sia italiani che inglesi, e buona parte di questi sono stati un prezioso regalo della mia amica Irene Bianchi, biologa e squalologa, che in occasione di un trasloco mi ha passato una parte della sua sterminata collezione.

Poi c’è la mensola che, appesa proprio sul muro accanto alla scrivania, raccoglie libri a cui sono molto affezionato, per diversi motivi.
Un gruppo di questi sono la base su cui ho lavorato per il mio ultimo libro, che è attualmente “in giro per editori” in cerca di pubblicazione, e dunque ancora libro, veramente, non è. Sono tutti libri inglesi, soprattutto americani, comprati usati su librerie on-line come BetterWorld e AbeBoooks. Pagati pochi dollari, hanno il fascino delle cose usate, con sottolineature e appunti lasciati chissà da chi, e ai quali si sono aggiunti i miei segni.

Poi ci sono le copie dei libri che ho scritto io, Il mare che non ti aspetti, quello sulle tartarughe marine, quella sull’ambiente della provincia di Firenze, quello sui pesci di acquario e poi anche libri in cui dentro c’è un mio contributo, uno sull’Adriatico, uno sulla Pet Teraphy.

Molti altri sono i libri che io chiamo “di quelli che conosco”, cioè opere di autori che conosco di persona o che comunque ho incontrato qualche volta. “Abbecedario Adriatico” e “Un mare. Orizzonte adriatico” di Fabio Fiori (un amico biologo romagnolo), “Il dilemma della sfinge” di Notarbartolo di Sciara, “Cosa fanno gli squali tutto il giorno nel mare?” della vulcanica Eleonora de Sabata, “Che cos’è la bioetica animale” di Barbara de Mori (la conosco da poco, fa parte come me del gruppo di lavoro ministeriale per la redazione delle Linee Guida sugli spiaggiamenti di Cetacei vivi), “Le mie balene” di Maddalena Jahoda, “Una scelta di vita” di Luca Pagliari (me l’ha regalato in occasione di una presentazione che abbiamo fatto insieme alla darsena di Rimini), “Com’è profondo il mare” di Tete Venturini, “Tra sabbie e scogliere” di Attilio Rinaldi (Direttore del Centro Ricerche Marine di Cesenatico), “Angel” di Antonietta Righetti.

I libri della mensola si completano con qualche volume a cui tengo particolarmente, non so, “L’origine delle specie” di Darwin, una biografia dello stesso Darwin, “Piano B 3.0” di Lester Brown, “La scimmia nuda” (uno dei miei preferiti) e “La mia vita con gli animali di Desmond Morris, l’autobiografia di Bill Russell (grande cestista degli anni ’60-’70), l’autobiografia di B.B. King (il re del Blues), un libro sulla Caulerpa taxifolia (l’alga assassina…) e uno sulla storia del Celacanto (il pesce Latimeria chalumnae, un vero fossile vivente) più qualcosa d’altro.

Mi piace come questi libri segnino un percorso, come sassolini caduti lunga la via della mia vita, professionale e non. E so che dovunque andrò, li porterò con me. E sono curioso di sapere quali altri avranno l’onore di “salire sulla mensola”, durante il cammino.