lunedì 29 novembre 2010

L'Europa e gli squali

Il difficile percorso per eliminare la piaga del finning, che fa strage di squali, nelle acque europee.

Il regolamento europeo vieta la pratica del finning, cioè di tagliare le pinne agli squali, per poi venderle a mercato orientale, per la tradizionale zuppa di pinne di pescecane. Ma una deroga concede agli stati membri di rilasciare ai pescatori l'autorizzazione a "lavorare" gli squali pescati, e dunque a tagliare le pinne a bordo del peschereccio. Germania, Regno Unito e altri paesi hanno via via bloccato la concessione di tali autorizzazioni, attualmente concesse solo in Spagna e Portogallo. Questi permessi rendevano, di fatto, praticabile il finning. Perchè? Perchè se io pescatore posso arrivare in porto con pinne di squalo da una parte e corpi dall'altra, posso avere diciamo 10 carcasse di squalo, ma pinne provenienti da 25 squali. vuol dire che almeno 15 squali sono stati pescati appositamente per le pinne, dunque ho praticato il finning.

Nel 2003 per cercare di ovviare al problema, i responsabili della pesca dell'Unione Europea adottarono un rapporto che doveva "legare" le pinne che un pescatore aveva in barca, con le carcasse di squalo. Dunque un imposto che il peso delle pinne in barca non doveva superare il 5% del peso degli squali a bordo. Questo rapporto per la verità è alto e dunque molto permissivo rispetto a quanto adottato da altri paesi, e al rapporto reale peso pinne/peso squalo intero. Ne ho già parlato qua.

Le barche europee hanno inoltre un'altra scappatoia: possono sbarcare corpi e pinne in porti diversi, il che crea ulteriori confusione.

Nel febbraio 2009, la Commissione Europea, con la pubblicazione del Piano di Azione per gli Squali, si impegna pubblicamente a rafforzare il divieto di finning.

Due mesi dopo, nelle Conclusioni ufficiali sul Piano d'Azione, il Consiglio Europeo dei Ministri della Pesca richiede di emendare (cioè modificare) il divieto di finning come prioritario.

A quasi due anni di distanza, il 15 novembre scorso, la Commissione Europea presenta un documento di consultazione pubblica, che si può leggere qui, aperto dunque ai commenti di tutti i cittadini, che chiede la modifica del regolamento sul finning, introducendo la norma che gli squali devono essere sbarcati con "le pinne naturalmente attaccate".
Questa politica non solo avrebbe come risultato un’applicazione più incisiva del Regolamento, ma permetterebbe anche la raccolta di informazioni sulle specie e sulle quantità di squali sbarcati, fondamentale per stimare e gestirne le popolazioni.

sabato 27 novembre 2010

Storie di Mare via email

Ho aggiunto al blog un nuovo servizio che spero sia utile. Se guardate nella colonna di fianco, proprio sotto a "Chi sono" trovate il titolo "AGGIORNAMENTI VIA EMAIL". Potete iscrivervi per ricevere una mail ogni volta che c'è un nuovo post.
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lunedì 22 novembre 2010

Difficili riflessioni, difficili decisioni

Oggi vorrei approfittare di Elena, una amica conosciuta su Goodreads.com, per rispondere a due domande che, in forme diverse, ma uguali nella sostanza, spesso mi vengono poste.
Elena ha letto "Il mare che non ti aspetti" e mi scrive "Marco, sulla vicenda di Mary G... quando ti chiedi se vale la pena di affrontare tutte le spese e gli sforzi per salvarla, solo per avere un delfino in piu' nel mare... ti giro la domanda: saresti riuscito a guardarla morire?".
Io le ho risposto che questa domanda merita una lunga e ponderata risposta, e lei allora aggiunge: "immagino.... anche perche' continuando a leggere il libro mi sembra di percepire una sorta di tensione interna tra il biologo, piu' scientifico e distaccato che dice che raramente si affeziona agli animali, e l'animalista che pero' nell'ultima pagina dice di non essere animalista ma dimostra di amare gli animali (credo, altrimenti come faresti a fare un lavoro cosi'???!!!)"

Dunque la prima domanda, brutale, è: sarei riuscito a guardare morire Mary G? La risposta è che, no, allora, in quel momento, non ci sarei riuscito. E' cambiato qualcosa da allora? Sì. E molto è cambiato proprio a causa di Mary G.
Ho già scritto diverse volte che la vicenda di Mary G. ha cambiato il mio modo di vedere alcune cose, e ha dato inizio a profondi ripensamenti che poi si sono portati dietro altri effetti collaterali (esempi recenti: la mia svolta decisa verso il pensiero contro la cattività, come qui e qui, e le mie letture recenti sulla bioetica animale). Ne "Il mare che non ti aspetti", che è stato scritto a cavallo fra il 2005 e il 2006, si leggono le prime avvisaglie di queste riflessioni. Ma altri anni sono passati e le mie riflessioni sono continuate.

Recentemente sono stato membro di un tavolo tecnico (ne ho parlato qui) nato per volontà del Ministero dell'Ambiente e che ha il compito di redigere le linee guida per gli interventi sui Cetacei spiaggiati vivi. Il gruppo è composto da una decina di persone e consta di un biologo, un naturalista (io), una esperta di bioetica e diversi veterinari (quasi tutti afferenti ai parchi e dunque legati alla cattività). Bene, il punto che ha causato le discussioni più accese e feroci è stato proprio sollevato da me, e deriva dall'esperienza di Mary. In pratica ho affermato che per quanto mi riguarda non avrei voluto mai più un'altra Mary G. Nel caso cioè di un delfino che può essere salvato ma che sarebbe comunque destinato alla cattività, cioè un piccolo non svezzato o un animale con gravi mutilazioni, andrebbe secondo me praticata l'eutanasia. E' durissima pensare di sopprimere un cucciolo che invece si potrebbe salvare, ma se non lasciarlo morire significa condannarlo a una vita in cattività, io credo si debba decidere per la soppressione.
Voglio essere molto chiaro: stiamo parlando di un animale che sarebbe morto senza l'intervento dell'uomo, ma che noi decidiamo di fare sopravvivere, destinandolo a una vita di una qualità decisamente inferiore a quella naturale, selvatica.Non lo trovo accettabile (anche perché molte altre considerazioni gravano attorno a questa decisione, come ad esempio il valore dal punto di vista della conservazione, di un animale spiaggiato, e molto altro). Quindi, sì, oggi come oggi, io... guarderei Mary morire. O meglio, l'aiuterei a farlo.

Il secondo punto è più facile. Innanzitutto non mi sono mai definito animalista (ma oggi, forse, chissà...) perchè ho sempre dato al termine un'accezione negativa, intendendo con questo nome un fanatico, uno disposto a tutto per la difesa degli animali (o di un singolo animale, concetto che per me ha una valenza molto diversa). Detto questo, è vero, non mi affeziono mai al singolo animale, non ci riesco proprio, salvo rare eccezioni: il gatto di casa, la tartaruga Sole...
Non credo sia solo questione di "biologo, scientifico e distaccato", ma anche e soprattutto di un affetto e di un profondo amore per gli animali, ma che si esprime su un altro livello. Come ho già scritto: ho per loro un profondo rispetto, rispetto la loro natura, il loro essere, la loro dignità. Non sono pet, sono solo altri abitanti del nostro stesso pianeta. Come noi, al pari di noi.

martedì 16 novembre 2010

Come va l'Adriatico? Non c'è male, grazie.

Venerdì scorso sono stato alla annuale conferenza stampa della struttura oceanografica Daphne II. Il tema è come ogni anno, lo stato delle acque marine costiere dell'Emilia-Romagna. La Daphne è una nave oceanografica, con un Centro Ricerche Marine alle spalle, che si occupa principalmente di monitoraggio delle acque. Sul sito dedicato potete vedere tutte le attività che svolge, e anche i bollettini aggiornati, settimana per settimana. Da questo punto di vista direi che questa Regione è primatista, per il numero e la regolarità dei controlli effettuati ,(41 stazioni di monitoraggio distribuite dal delta del Po a Cattolica e da costa a 10 Km al largo ) e anche per lo "storico" ormai raccolto, visto che il monitoraggio è iniziato dal 1977.

Tornando alla conferenza stampa, e allo stato del mare, il relatore, Attilio Rinaldi direttore della struttura, fa subito notare nelle premesse come le condizioni del nostro Adriatico, e maggior ragione della parte nord occidentale, siano legate agli “umori” del Po. La qualità e la quantità delle acque dolci del grande fiume, hanno ripercussioni a diversi livelli su quello che succede in mare, e in particolare davanti alle coste dell'Emilia-Romagna. Le acque dolci, più leggere di quelle salate, “pattinano” su queste ultime, scivolando verso sud anche a diversi chilometri di distanza.

E quest'anno il Po ha portato 1768 metri cubi d'acqua al secondo, molto di più della media annuale, di 1490 metri cubi, calcolata sul periodo 1917-2009. Queste acque dolci, soprattutto il picco di fine primavera, ha portato a stratificazione delle acque in estate e oltre, con carenza di ossigeno sul fondo. Ecco che i pescatori si lamentano dell'assenza delle triglie: i pesci di fondo, non trovando più molto cibo, morto per la carenza di ossigeno, si spostano da altre parti (nelle Marche e in Abruzzo, le triglie c'erano).

Rinaldi ha anche citati i bruschi cali di temperatura di inizio anno, che hanno causato la “famosa” moria delle alacce, e lo spiaggiamento, nei primi giorni di marzo di ben 11 tartarughe, recuperate e ricoverate da noi di Fondazione Cetacea.

Altro fenomeno rilevante, la moria delle telline (Lentidium mediterraneum) a maggio e giugno sulle spiagge riminesi, le quali morendo e andando subito in decomposizione sulla spiaggia, hanno causato tanti fastidi ai turisti che si lamentavano del cattivo odore. Eh sì, a noi piace la natura... liofilizzata: inodore, pulita, asettica. Tra l'altro, proprio a causa di questi disagi, le conchiglie morte venivano rimosse dalla spiaggia, con i camion, e Rinaldi faceva notare come la sabbia delle nostre spiagge sia costituita anche da conchiglie triturate, e dunque come sia importante invece non portare via le conchiglie.

Tutto sommato comunque un quadro generale non troppo negativo, anche se la Daphne si occupa di aspetti particolari, importanti certo, ma che non toccano la situazione che dipende da altri tipi di problemi: la pesca eccessiva, il traffico navale, certi inquinanti. Prima di dire che in Adriatico va tutto bene, ce ne vuole; e in effetti nessuno lo ha detto.

mercoledì 10 novembre 2010

Rinfrescata

Ho dato una rinfrescatina al blog. Volevo che i post avessero più spazio, più respiro. Fatemi sapere se vi piace.

domenica 7 novembre 2010

Discarica a mare

Immagino che abbiate visto tutti il servizio di Report sui capodogli spiaggiati in Puglia, nel dicembre scorso (beh se non l'avete fatto, basta che andate al post precedente). Il servizio è molto preciso e puntuale, secondo lo stile di Report, e grazie anche alla competenza e la preparazione degli intervistati Sandro Mazzariol (UniPadova) e Gianni Pavan (UniPavia/CIBRA), che conosco entrambi molto bene.
In quelle immagini, al di là delle ipotesi sulle morti dei capodogli e della possibile connessione con le prospezioni geologiche, che conoscevo già, mi ha colpito molto la sequenza in cui vengono mostrati i contenuti stomacali delle povere bestie. Un campionario impressionante di schifezze: borse, buste di plastica, scatole, cavi d'acciaio...

Sconvolgente, anche se risaputo, quanto l'incuria dell'uomo abbia infestato il mare. L'idea di un fondale marino punteggiato di plastica, cassette, lavatrici, copertoni, bottiglie e altro ciarpame è quanto di più triste e disturbante. E' come un'opera d'arte sporcata di inchiostro dalla mano ignorante di un vandalo.

Il problema dei rifiuti in mare è planetario e l'Adriatico non solo non è da meno, ma anzi ne risente come e più di altri mari. Cosi "piccolo" e circondato da terre sovraffollate di gente, è un collettore naturale di robaccia artificiale.
Recentissimo è questo articolo, in cui ricercatori croati hanno esaminato il contenuto stomacale di 54 Tartarughe comuni (Caretta caretta) e in più di un terzo di esse (35.2%) hanno trovato plastica.

Stime delle Nazioni Unite parlano di 18.000 pezzi di plastica per ogni chilometro quadrato di mare, per un totale che supera i 100 milioni di tonnellate. Si è anche parlato molto della presenza nel Pacifico di una isola di plastica e rifiuti galleggianti, formata e tenuta insieme dalle correnti, grande quanto due volte lo stato del Texas.

Se anche questi materiali non fossero pericolosi per le creature marine, e invece lo sono eccome, ma quale triste e schifoso scempio stiamo facendo del nostro pianeta? In un mondo che sta appena appena iniziando a capire che il problema non è più come eliminare i rifiuti, ma come non produrne affatto (ed è possibile), prima o poi ci sarà qualcuno (i nostri figli? i nostri nipoti?) che dovrà ancora raccogliere l'immondizia che generazioni troppo poco lungimiranti hanno lasciato.