giovedì 24 febbraio 2011

Addestrare i delfini

Il vostro sogno nel cassetto è addestrare i delfini? Di certo non è il mio ma credo che in oltre 14 anni di lavoro, la domanda "come faccio a diventare addestratore di delfini?" sia ai primissimi posti della mia personale classifica delle più richieste.
Ho sempre risposto che non esistono corsi specifici, che non serve una preparazione particolare, né tanto meno una laurea, e ci vuole un po' passione e molta fortuna. Per la verità posso dire, conoscendo molti trainer personalmente, che anche una certa dose di narcisismo non guasta...
Fino a qualche anno fa, adesso sono un po' fuori dal giro, la trafila era più o meno sempre la solita: si inizia come volontari dando una mano nei lavori più "umili", vedi tagliare e pulire il pesce, per poi avvicinarsi un po' di più al tanto agognato "bordo vasca", e poi qualcuno coronava il suo desiderio e diventava, magari solo per una stagione, trainer.
Conosco addestratori che lo fanno da oltre 10 anni, e moltissimi altri li ho visti invece passare solo per una stagione o due. Poi, esaurita la novità, meglio cercare qualcos'altro. Per quanto strano vi possa sembrare questa affermazione, mi sento di dire che è un lavoro molto "ripetitivo", nel senso che la routine giornaliera si ripete spesso per lunghi periodi sempre uguale.

Insomma, non aspettatevi che sia io a dirvi di inseguire questa meravigliosa professione, ma se proprio siete di quelli che darebbero non so cosa per provarci, e non sanno da che parte cominciare, beh stavolta (ed è la prima volta che vedo una cosa del genere) avete un'occasione: il parco Zoomarine cerca pubblicamente "addestratori di mammiferi marini". In bocca al lupo.

N.B. 1: non h verificato che l'annuncio non sia invece un'esca per attirarvi in qualche programma o stage a pagamento
N.B. 2: non ho verificato che i mammiferi marini di cui parla l'annuncio siano veramente delfini. Potrebbero essere, che so, otarie...

Post Scriptum: leggendo i primi commenti ci tengo a ricordare che ho già scritto qua, cosa penso dei delfinari

sabato 19 febbraio 2011

Gli squali stanno scomparendo, e non sono i soli

Un terzo di tutte le specie di squali e razze è a rischio di estinzione. E non è l'unica brutta notizia: in media, ogni anno, 52 specie, fra Mammiferi, Uccelli e Anfibi si avvicinano di più all'estinzione.
In effetti mi piacerebbe qualche volta sedermi a scrivere di conservazione e riportare qualche bella notizia. E più avanti ve ne darò un paio. Ma il succo del mastodontico lavoro pubblicato lo scorso dicembre su Science, è che stiamo messi male.

Sto parlando di un articolo scritto da una marea di autori, e che porta un titolo assolutamente attraente: "L'impatto della conservazione sui Vertebrati del mondo". Interessante, no? Cioè, facciamo tanto per la conservazione delle specie minacciate da noi stessi, ma funziona o no?
E come ha fatto questo gruppo di scienziati a dare una risposta? Hanno preso tutte le Liste Rosse che ogni anno un ente molto importante come l'IUCN (International Union for Conservation of Nature) pubblica e le hanno studiate, soprattutto valutandone i cambiamenti. In queste liste le specie sono classificate secondo il loro stato di conservazione, in diverse categorie, tipo "minacciata", "in pericolo", "fortemente in pericolo" e altre. L'ultima è "estinta". Se una specie si muove, col passare degli anni, avvicinandosi o allontanandosi dall'ultima categoria, e dunque dall'estinzione, abbiamo un'indicazione su come se la passa la specie in questione.

Ecco dunque qualche punto:
- moltissime specie sono "data deficient", cioè non ci sono abbastanza dati scientifici per poterle catalogare in una categoria piuttosto che in un'altra
- fra squali e razze, molte specie sono "data deficient"
- considerando questo dato, e facendo qualche stima, si arriva a dire che su 1044 specie di pesci cartilaginei (squali e razze), 345 stanno nelle categorie da "vulnerabile" a "fortemente in pericolo". quindi un terzo del totale
- 156 specie di Mammiferi, 223 Uccelli e 662 Anfibi hanno fatto, negli ultimi due decenni, almeno un passo di categoria in avanti, verso l'estinzione

Ed ecco ora le due buone notizie:
1. lo studio mostra che in assenza delle campagne di sensibilizzazione, di tutela e di conservazione, i dati già drammatici, sarebbero stati anche peggiori
2. 68 specie, in totale, si sono mosse di almeno un salto di categoria all'indietro, allontanandosi dunque dall'estinzione. Ben 64 di queste lo hanno fatto non per cause naturali, ma grazie proprio alle battaglie per la loro conservazione

La conclusione dello studio? Ve la riporto pari pari, che non si dica che sono io quello pessimista: "Gli attuali sforzi di conservazione restano insufficienti a compensare la perdita di biodiversità in questi gruppi di Vertebrati". Chiaro, no?

domenica 13 febbraio 2011

Tartaruga superstar

Ho appena finito di vedere il film "L'incredibile viaggio della tartaruga". Tra l'altro trasmesso da RaiTre in prima serata... allora c'è vita intelligente in mammaRai!
Ne avevo sentito parlare ma non ero riuscito a vederlo. In Italia, dopo essere stato presentato nel 2009 al Festival Internazionale del Film di Roma, ha avuto una distribuzione pressoché inesistente, per quanto ne so.
Ho letto che il regista, Nick Stringer, ci ha messo 5 anni a completarlo.
Devo dire che mi è piaciuto davvero molto. La gran parte delle riprese sono portentose, non solo quella della tartaruga stessa (stupende quelle delle primi anni di vita) ma anche dei "coabitanti" dell'Atlantico che incontra nel suo viaggio: capodogli, delfini, megattere, squali (una splendida verdesca è co-protagonista di una parte della storia), pesci luna, meduse e molto altro. 
Il film è volutamente poetico ma mai smielato, e le "concessioni" alla finzione cinematografica non tolgono nulla al contenuto documentaristico, accurato e scientificamente plausibile, se così si può dire.

L'ho visto insieme alla mia famiglia. Il piccolo (4 anni) si è annoiato dopo una mezz'ora, ma il film punta a ragazzini un po' più grandi di lui e agli adulti. Alle mie figlie di 10 e 12 anni è infatti piaciuto molto. Lo cercherò in DVD perchè voglio rivederlo.
Insomma, avete capito: lo consiglio vivamente.

venerdì 11 febbraio 2011

La fatica di educare all'ambiente

Una spiaggia, due persone con delle buffe visiere, del materiale didattico, dei bambini. Una scena di certo per niente inusuale. Anche se non sapessi nulla di quella foto, direi che si tratta di un'iniziativa di educazione ambientale.
Già, l'educazione ambientale.
Su Wikipedia si legge, alla voce corrispondente:
"L'educazione ambientale è il proposito organizzato di insegnare la struttura e l'organizzazione dell'ambiente naturale e, in particolare, educare gli esseri umani a gestire i propri comportamenti in rapporto agli ecosistemi allo scopo di vivere in modo sostenibile [...]"
Un compito da far tremare i polsi, e di estrema importanza, dunque. E ancora:

"L'espressione "educazione ambientale" in particolare è spesso usata per intendere l'auspicato insegnamento di questo tema all'interno del sistema scolastico, dalla scuola primaria alla post-secondaria italiana; è anche adoperata in maniera più estensiva per indicare tutti gli sforzi per ammaestrare il pubblico servendosi di materiale stampato, siti web, campagne nei mass media ecc."
L'auspicato insegnamento, dice proprio così. Un materia così importante per formare menti che abbiano una visione e una cultura DIVERSA, e l'insegnamento nelle scuole è solo auspicato.

Ancora Wikipedia, alla voce Educazione Ambientale in Italia:
"In Italia non esiste una materia d'insegnamento riguardante in modo specifico l'educazione ambientale che sia impartita nella scuole di stato; la sensibilizzazione del pubblico su questi argomenti è affidata, specialmente tramite i media, a specifici organismi preposti alla salvaguardia dell'ambiente che possono essere di tipo istituzionale come il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare oppure associazioni ed organizzazioni non governative."
Il Ministero dell'Ambiente allo stato attuale è già molto che non imploda su se stesso, accasciandosi per mancanza di fondi, di progetti, di pianificazioni. Altro che educazione.
Dunque a chi tocca il compito? Alle organizzazioni non governative.
Che lo fanno egregiamente, ma barcamenandosi con pochissimi o zero fondi a disposizione, sempre in bilico fra volontariato, precarietà e spesso, la voglia di mandare tutto all'aria.

Ma niente paura, anzi: se avete figli, datevi da fare. Si può educare al rispetto dell'ambiente e alle buone pratiche, tutti i giorni, ogni giorno. Con le parole, e soprattutto con il vostro esempio. Fatelo credendoci fino in fondo. Fatelo come se non ci fosse alternativa, perchè non c'è davvero. Non saranno solo i vostri figli a ringraziarvi, in futuro.

sabato 5 febbraio 2011

Non sparate sul capodoglio

Scrivo un'altra volta di capodogli, perchè l'articolo di cui parlo nell'ultimo post nasce da una costola di un altro articolo, pubblicato qualche mese fa sulla rivista Aquatic Conservation: marine and freshwater ecosystems, e scaturito a sua volta dallo spiaggiamento di massa dei capodogli del Gargano.
Durante quel drammatico evento, alcuni ricercatori dell'Istituto Tethys si recarono sulla spiaggia alla Foce del Varano, e con lodevole prontezza pensarono di andare in giro in mezzo alla tanta gente che  era accorsa ad assistere al triste spettacolo, e cominciarono a fare interviste.
E chiedevano cose come “secondo voi, perchè si sono spiaggiati?”, e anche “cosa si dovrebbe fare con i capodogli ancora vivi?”. E poi “quali sensazioni provate per questi animali?”
Riassumo brevemente le risposte, perchè pur essendo interessanti, non sono queste il “succo” di quello che infine dice l'articolo e di quello che voglio dire qui:
- alla domanda sulle cause di spiaggiamento le risposte sono state molto varie, ma il 44% ipotizzava cause legate all'uomo, mentre circa il 22% optava per cause naturali;
- alla richiesta su cosa fare con gli animali vivi, il 69,5% affermava che si sarebbe dovuto tentare di salvarli (suggerendo una ampia varietà di modi), il 20% che non si sarebbero potuti salvare, e il 10% non sapeva cosa rispondere. Due persone, fra questo 10%, aggiunse poi che si sarebbe dovuto praticare l'eutanasia (e sul fatto che solo 2 persone su 118 intervistate, ci abbiano pensato, nonostante l'evidente situazione di sofferenza degli animali, si potrebbe scrivere un altro post...);
- infine i sentimenti provati al cospetto degli animali spiaggiati, erano, per il 68,6% di compassione (tristezza, dispiacere, pena, sconcerto...), solo il 4% dichiarava sentimenti non compassionevoli (fatalismo, disgusto, nessun sentimento), mentre oltre il 20% mostrava sensazioni non identificabili chiaramente in una categoria o in un altra (stupore, impotenza...).

Ed è proprio su quest'ultimo punto che la trattazione si fa molto interessante. Gli autori infatti si sono presi la briga di andare a cercare le reazioni della gente anche nei documenti storici di altri spiaggiamenti di capodogli (e da qui nasce poi anche l'altro articolo sugli eventi storici in Adriatico).
Ebbene, tre–quattro secoli fa, i Cetacei - soprattutto i grandi Cetacei - erano visti come creature mostruose, aggressive e pericolose. Non mancava inoltre una visione più opportunistica: la risorsa di carne e soprattutto di olio che un animale di quelle fattezze rappresentava, non passava certo inosservata.
Altre descrizioni ne fanno una bestia mitologica, una forza della natura da combattere e vincere. E' per questi motivi che, in tutti i racconti di spiaggiamenti di capodogli vivi, fino a più o meno trent'anni fa, la regola è l'uccisione dell'animale. Si immagina senza troppi ripensamenti o esitazioni. E lascio a voi la lettura dei resoconti di queste uccisioni: arpioni, pistole, fucili, esplosivi... Anche le foto parlano chiaro. Quello che vediamo nelle illustrazioni sono persone in posa di fianco o spesso sopra alla bestia sconfitta e senza vita. Un segno di dominanza, di forza, quando non di spregio, e forse, anche un gesto liberatorio, scongiurata la paura del grande mostro.

Ma dopo il 1980, a partire in realtà dallo spiaggiamento di Silvi Marina del 1984, alla voce “risposta allo spiaggiamento” non troviamo più killed (ucciso) ma “tentativo di recupero”. In questo caso l'evento viene molto seguito dai media, e si parla dell'animale in toni molto diversi (bello e intelligente) e alla fine c'è tristezza per la morte del “re del mare”. 
Dunque, nei primi decenni della seconda metà del secolo scorso, qualcosa è cambiato. Le ricerche, gli studi, che negli anni '70/'80 cominciano a diventare corposi, e che mostrano questi animali come intelligenti e con comportamenti molto complessi, fanno evidentemente breccia nel cuore e nel sentire della gente. Le televisioni raggiungono sempre più persone e i documentari e le informazioni cambiano la percezione, almeno per questi giganti gentili. Le campagne per la difesa dell'ambiente e per i diritti degli animali fanno il resto.

Dunque, in definitiva, sembra che un buon risultato sia stato raggiunto, e peccato che quasi si perda nella miriade di altre cose che invece non siamo riusciti a cambiare. E quanti altri animali, pensate solo ai pesci, tanto per restare in mare, vengono ogni giorno spazzati via senza remore e rimorsi, per consumo, per errore o per divertimento? Quanto ci vorrà prima che la nostra percezione di TUTTI gli altri coinquilini di questo pianeta ci conduca a dare loro il rispetto e la dignità che sarebbero la base per ogni valida politica di sostenibilità?

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