mercoledì 30 marzo 2011

Delfini spiaggiati nel 2010

Sebbene un po' ritardo rispetto al solito, è tempo di fare un consuntivo anche per quanto riguarda i Cetacei ritrovati spiaggiati sulle nostre coste, così come abbiamo fatto per le tartarughe, qualche settimana fa. Ricordiamo che Fondazione Cetacea riceve segnalazioni di spiaggiamenti su un’area che comprende tutto il territorio dell’Emilia-Romagna e delle Marche, e da qualche anno anche del Molise.

Negli ultimi dieci anni sulle coste del territorio indicato, la media degli esemplari ritrovati è pari a 17. Gli scostamenti da questa possono essere più o meno elevati, con il record del 2007, con ben 26 animali: 17 tursiopi (Tursiops truncatus), un grampo (Grampus griseus), una balenottera comune (Balaenoptera physalus) oltre a 7 delfini non meglio identificati. Cifre davvero da record.

Come andato dunque il 2010? Bisogna dire subito che i numeri sono decisamente meno preoccupanti rispetto a quelli visti per il 2007, ma siamo comunque, se vogliamo, oltre la media. Parliamo infatti di una totale di diciannove spiaggiamenti. Essi comprendono 11 esemplari della specie più comune nelle nostre acque, il tursiope. A questi si aggiungono 7 delfini non identificati (in genere sono comunque tursiopi, sebbene non si possa registrarli come tali, in mancanza di una identificazione precisa), più 1 individuo di Stenella striata (Stenella coeruleoalba), specie rarissima in altro Adriatico, ma molto più comune nel bacino meridionale, in acque pugliesi per intenderci. Questa era spiaggiata a Cattolica, il 22 luglio.

Di questi spiaggiamenti, otto sono avvenuti sulle coste marchigiane, dieci su quelle romagnole e una segnalazione ci è giunta dal Molise (Campomarino Lido). Nelle Marche ci sono stati spiaggiamenti nel Piceno, altri a nord nel pesarese e uno a Senigallia. La Romagna è stata toccata soprattutto nel ravennate, più qualche caso nel ferrarese, due a Rimini e uno a Cattolica.
Soltanto in pochissimi casi, spesso queste carcasse sono in condizioni davvero disastrose, è stato possibile stabilire il sesso degli esemplari. I cinque individui identificati comunque, erano tre maschi e due femmine. Interessante la distribuzione delle dimensioni. Tre individui erano sotto ai 150 cm di lunghezza, il che indica esemplari praticamente neonati, mentre due sono stati gli animali davvero grandi, attorno ai tre metri di lunghezza.

La distribuzione temporale di questi eventi ricalca quella tipica per le nostre acque, con una maggiore concentrazione nei mesi caldi. Non ci sono stati ritrovamenti in gennaio e febbraio (si pensa che durante i mesi freddi questi animali si spostino più a sud), mentre abbiamo marzo, aprile, maggio e giugno con uno spiaggiamento ciascuno. Ecco poi il picco a luglio con 7 esemplari, per poi proseguire con 2 ad agosto, 2 a settembre, 3 ad ottobre e 1 in dicembre.
Sebbene di questi esemplari si raccolgano quando possibile, campioni biologici di grande interesse scientifico, è spesso difficile risalire alle cause di morte, anche se le cause naturali restano sempre e comunque la prima ipotesi.

La foto è della Capitaneria di Porto di Fano

lunedì 21 marzo 2011

La pesca intensiva ha impoverito l'Adriatico

Chiedete a un pescatore di mestiere, e non avrà dubbi: il mare è sempre più povero, e il nostro Adriatico non fa davvero eccezione. I bottini di pesce che si facevano anni fa sono solo un ricordo, e oltre a pescare di meno, si catturano pesci di taglia sempre più piccola.
Questo appare ovvio dal momento che sappiamo che stiamo sfruttando il mare al di sopra delle sue possibilità. Cioè preleviamo più pesce di quanto le naturali capacità di recupero del mare stesso possano sostenere. In parole ancora più semplici, e oramai anche abusate, si pesca in maniera non sostenibile.

Quello che ormai è sotto gli occhi di sotto è però, purtroppo, molto difficile da dimostrare in maniera chiara e soprattutto scientifica. Come confrontare le stime di abbondanza delle popolazioni ittiche attuali, con quelle anche solo di un secolo fa, quando mancavano totalmente stime di questo tipo? Fino alla seconda metà del secolo scorso, le descrizione delle comunità ittiche erano infatti solo qualitative, cioè quali specie e dove, ma non c'erano valutazioni di tipo invece quantitativo. Come fare dunque a confrontare i dati di oggi, con quelli dell'... altro ieri, assenti?

Un gruppo di ricercatori, di due differenti istituti, uno veneto e uno friulano, hanno recentemente pubblicato un articolo sulla rivista PloS ONE, in cui si pongono proprio l'obbiettivo di analizzare l'andamento delle popolazioni di pesce dell'Adriatico, dal 1800 al 2000. Per fare questo hanno studiato una metodologia statistica, che in questa sede non ci interessa nel dettaglio, per trasformare le descrizioni qualitative, presenti in 38 libri di naturalisti dal 1818 al 1956, trasformandola, con l'aiuto di altri dati parziali, come gli sbarchi nei mercati ittici dal 1874 al 2000, in dati quantitativi; questa volta dunque e finalmente confrontabili con quelli attuali. Le specie di cui hanno raccolto e messo a confronto i dati sono state ben 255.

I risultati sono desolatamente chiari e esattamente quelli che ci saremmo potuti aspettare di trovare. Nel periodo preso in considerazione è evidente il declino, in primo luogo, dei Pesci cartilaginei, cioè squali e razze, che si accompagna a quello delle specie di grandi dimensioni (quelle che raggiungono taglie fra 120 e 250 cm, come ad esempio la Cernia bruna e il Rombo) e quello dei grandi demersali (cioè che nuotano in genere vicino al fondale, come il Nasello e la Rana pescatrice). A questi vistosi cali si accompagna invece una crescita di specie di piccole dimensioni e che raggiungono la maturità sessuale prima dell'anno di vita. Quindi non abbiamo solo un generale impoverimento delle risorse, ma anche una profonda alterazione della composizione delle specie presenti. Insomma, un mare più povero e sempre più diverso dalle origini e dalle sue potenzialità biologiche. Da sottolineare che alcune specie come lo Squalo angelo o Squadro, la Canesca (un altro squalo) e lo Storione, tutti oggi considerati assenti in queste acque, erano invece non solo presente, ma addirittura comuni fino al 1950.

La cause di tutto questo sono ovviamente legate alla presenza dell'uomo, dagli effetti degli inquinati e delle sostanze nutrienti versate in mare, tramite i fiumi e gli scarichi, fino alla pesca intensiva, che già incideva pesantemente sulla popolazione ittica adriatica nel 19esimo secolo, ma che dalla metà del 20esimo ha subito una forte trasformazione di tipo industriale, con l'introduzione dei motori, di nuovi tipi di strumenti di cattura e in generale della tecnologia (radar, sonar...). Gli autori concludono sottolineando che gli effetti della pesca intensiva prevalgono, in nord Adriatico, nei loro effetti di impoverimento e cambiamento dell'ecosistema, rispetto a ogni altra causa antropica.

venerdì 11 marzo 2011

Perchè l'Ospedale delle Tartarughe è pieno?

Ipotesi sui motivi dell'inusuale serie di spiaggiamenti di tartarughe di questo inverno 2011

Nei primi due mesi del 2011, con una coda che prosegue ai primi giorni di marzo, abbiamo assistito a un elevato, quanto insolito, numero di spiaggiamenti di tartarughe ancora vive e in difficoltà. L'Ospedale delle Tartarughe si è riempito fino all'inverosimile, sia per il numero di ricoveri, oltre 20, sia perchè la gran parte di questi esemplari presenta dimensioni ragguardevoli, con punte di 70 cm di carapace.
Tutti questi animali, tranne qualche caso particolare (due ferite traumatiche, un amo in esofago), rientrano nel quadro di casi di tartarughe cosiddette cold-stunned, che in pratica significa, paralizzate dal freddo. Animali dunque che, in molti casi, si riprendono in tempi relativamente brevi, messe in acqua calda e nutrite a dovere, ammesso che non abbiano nel frattempo sviluppato problemi e patologie secondarie.
Si può trovare una relazione fra l'andamento delle temperature ambientali e gli spiaggiamenti di esemplari appartenenti a questa casistica?

Un caso molto simile a quello di quest'anno, ma in versione molto più ridotta, si era verificato anche l'anno scorso con un insolito picco di spiaggiamenti in marzo. In particolare erano state trovate 12 tartarughe in difficoltà, fra l'8 e il 12 marzo. Nell'analisi del fenomeno di questi spiaggiamenti invernali, sono partito proprio da lì.
Ho dunque raccolto le temperature massime e minime, dal 1 febbraio al 31 marzo 2010, e le ho messe su un grafico, a confronto con gli eventi di spiaggiamento (vedi figura qui sopra).
Ecco cosa si può notare:
- i primi 18 giorni di febbraio la temperatura massima non sale praticamente mai sopra i 10°C
- abbiamo poi valori altalenanti fino al 24, poi dal 25 febbraio al 2 marzo ecco una settimana cruciale: la temperatura sale e rimane sempre sopra i 12° C, con punte di 17
- a quel punto, secondo momento cruciale, ecco che torna il freddo, prima attorno ai 9-10° C, poi 7 °C il 7 marzo, 6° C l'8 marzo, 5° C sia il 9 che il 10 marzo, addirittura 2° C l'11 marzo
- proprio in quei cinque giorni, dall'8 al 12, dodici tartarughe arrivano in spiaggia, inebetite dal freddo
- dal 13 marzo in poi, le temperature risalgono costantemente, e in pratica arriva la primavera, senza più spiaggiamenti

Come si possono interpretare questi dati? Ecco la mia ipotesi. Non sappiamo come le tartarughe, animali a sangue freddo, possono sopportare le gelide acque adriatiche invernali, parliamo di temperature da 6 ai 10° C. E' possibile che le affrontino in maniera quasi, si potrebbe dire, vegetativa, muovendosi poco, mangiando poco, di sicuro rallentando al massimo il metabolismo, forse stazionando per lunghi periodi sul fondo. In ogni caso, a intervalli più o meno lunghi, devono venire in superficie a respirare. Quando ci sono periodi di diversi giorni in cui il rigido freddo invernale si spezza per lasciare spazio a temperature tiepide, 15-17° C, come abbiamo visto dal 25 febbraio al 2 marzo, quando le tartarughe escono a respirare "colgono" il cambiamento, se non altro riempiendosi i polmoni di aria decisamente più calda del solito. Non è detto infatti che l'acqua del mare si riscaldi di conseguenza, avendo questa una elevata capacità termica, e dunque reagisce lentamente al variare della temperatura esterna.
Quando dunque le tartarughe percipescono questo aumento di temperatura, continuamo con la nostra ipotesi, si riattivano, si muovono di più, soprattutto "riaccendono" il metabolismo. Se dopo un po' di giorni in questo stato, le temperature crollano di colpo (non gradualmente, il che consetirebbe alle tartarghe di rientrare forse nello stato di riposo "invernale"), trovano questi animali impreparati, che dunque intirizziti, semi-paralizzati e indeboliti dal freddo, si spiaggiano.

E' solo un'ipotesi e potrebbe essere integrata e migliorata, per esempio valutando anche le temperature dell'acqua del mare, negli stessi periodi, e lo farò. Eppure sembra che anche la grande emergenza di questo inizio inverno 2011 possa convalidare questo quadro.
Nelle temperature riportate nel secondo grafico notiamo, a dicembre 2010, valori in salita, partendo da temperature molto basse (da -2°C del 16 dicembre, ai 14° C del 24), poi il crollo e in soli quattro giorni siamo di nuovo a 4° C. Per tutto gennaio la temperatura resta su valori attorno ai 5° C di media, ed ecco che molte tartarughe si spiaggiano. I primi di febbraio i valori risalgono, fino ai 15° C del 15 febbraio e ai 14° C del 17. In tutto questo periodo non si spiaggiano tartarughe, salvo una, già morta.
Infine, ecco che le temperature scendono di nuovo, soprattutto le minime, e in maniera repentina. E ricominciano gli spiaggiamenti, a grappolo, tutti concentrati: ben 14 esemplari (11 ancora in vita) dal 24 febbraio al 4 marzo.

Che ci sia una stretta correlazione fra temperature ambientali e comportamenti e fisiologia delle tartarughe marine, è ovvio anche al di là di questi dati. Sono animali a sangue freddo e dunque le temperature hanno grandi influenze sulla loro vita. Questi dati mi sembrano confermare che, sebbene le tartarughe siano in grado di sopportare temperature che sembrerebbero proibitive per un Rettile, gli improvvisi sbalzi, soprattutto se dati da rialzi notevoli, seguiti da bruschi crolli possono avere dirette conseguenze sugli spiaggiamenti di esemplari che si presentano in condizioni descritte come cold-stunned.

mercoledì 9 marzo 2011

Scienze Naturali

Ci tengo a segnalarvi la nascita di nuovo progetto. E' un portale dedicato alle Scienze Naturali, e raccoglie news, articoli e approfondimenti, scritti da un folto gruppo di professionisti, studenti ed appassionati del mondo delle Scienze. E' un neonato, visto che è stato inaugurato solo il 6 marzo scorso!
A questa bella iniziativa collaboro anche io, e già ora potete trovare tre articoli che ho scritto e pubblicato lì:
"Disastro BP nel Golfo del Messico, gli effetti sulla fauna andranno ben oltre il 2012"
"L'anguilla"
"Come si orientano gli squali"

Segnalo inoltre che il gruppo di articolisti è in crescita e la ricerca di collaboratori è ancora aperta.

Segnalerò qui su Storie di Mare ogni articolo che scrivo per Scienze Naturali. Buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate.

venerdì 4 marzo 2011

Tartarughe spiaggiate nel 2010

Mentre, proprio in questi giorni, tartarughe spiaggiate in difficoltà stanno arrivando di continuo all'Ospedale delle Tartarughe di Fondazione Cetacea, diamo un'occhiata a com'è andato il 2010 proprio riguardo agli spiaggiamenti di tartarughe marine sulle nostre coste.

Ricordo che per gli spiaggiamenti di Caretta caretta, l’unica specie presente in Adriatico, Fondazione Cetacea copre un territorio che a nord inizia in corrispondenza della foce del fiume Reno, escludendo quindi la provincia di Ferrara, e a sud arriva a tutto il territorio marchigiano, con qualche segnalazione anche dal lontano Molise.


Fig. 1 ritrovamenti per anno
I numeri, dunque. Inutile per fortuna il confronto con il disastroso 2009, nel quale, a causa dell'emergenza di quella estate con tantissimi giovani esemplari trovati completamente senza forze (vedi tutti i post di agosto 2009), il totale era arrivato a 188 ritrovamenti, record assoluto per Cetacea (vedi Fig. 1).
Nel 2010 invece le tartarughe ritrovate sulle nostre spiagge, vive o morte, sono state “solo” 80. Diciamo che pure essendo valori importanti, quando si sta sotto le 90-100 unità la consideriamo un’annata buona. La distribuzione lungo la costa non è stata, come sempre, troppo uniforme, con ben 58 esemplari, trovati sulla costa emiliano-romagnola, significa in pratica tre su quattro; gli altri (20) erano in territorio marchigiano, con due segnalazioni anche dal Molise. Questa alta concentrazione in Romagna si spiega soprattutto, ed è una questione di correnti, con i numerosi arrivi nel ravennate. Sono state 34, pari al 42,5 per cento, infatti le tartarughe arrivate da quelle parti, seguite poi dalle 14 (17,5 per cento) sulle coste della provincia di Rimini (vedi Fig. 2).
Fig. 2: ritrovamenti per provincia
Davvero interessante e in parte inusuale la distribuzione dei ritrovamenti durante l’anno (Vedi Fig. 3). A fianco, infatti, dei soliti ritrovamenti estivi, 19 fra luglio e agosto, si conferma quello che è ormai è un andamento consolidato da diversi anni, e cioè un sempre un maggior numero di tartarughe che restano in Adriatico fino alla fine dell’autunno e all’inizio dell’inverno. Fra ottobre, novembre e dicembre infatti si sono concentrati il 40 per cento dei ritrovamenti, con il picco massimo annuale dato dalle 19 tartarughe di ottobre. E’ ormai evidente che la stagione delle tartarughe in Adriatico si è allungata di qualche mese rispetto al passato: effetto del riscaldamento?
Da notare anche un picco notevole, con 15 esemplari, a marzo. Questi erano tutti animali ritrovati in un lasso di tempo molto breve, dall'8 al 12 marzo, e 12 erano ancora in vita e sono stati ricoverati. In quel caso si trattò, quasi sicuramente, della conseguenza di un innalzamento della temperatura, seguito poi da un brusco calo.
Le dimensioni di questi esemplari sono molto variabili, anche se la maggiore concentrazione si registra attorno a individui di 40-50 centimetri di carapace, cioè i cosiddetti sub-adulti (le tartarughe di questa specie diventano adulte oltre i 70 centimetri di lunghezza del carapace). Non mancano nel conto totale piccoli individui di 20-30 centimetri, così come bestioni di 90-100 centimetri.
Fig. 3: ritrovamenti per mese
Fra tutte le tartarughe giunte quest’anno sulle nostre spiagge, 27 erano ancora in vita. Tre, arrivate a fine anno, sono ancora ricoverate, mentre 14 sono state curate e in diversi momenti riportate in mare per riprendere la loro vita selvatica. Altre 10 non sono sopravvissute, nonostante le cure.

Come detto all'inizio, gli sforzi di Cetacea e del suo Ospedale continuano e proprio in questi giorni la struttura è messa a dura prova, con ben 21 animali ricoverati. Chi volesse contribuire con un aiuto concreto può cliccare sulla pagina “Amico di Cetacea”.

martedì 1 marzo 2011

Non lasciamole morire

Ecco, ci risiamo. L'Ospedale delle Tartarughe è di nuovo in piena emergenza. Ci sono 17 animali ricoverati. Tre sono in gravi condizioni:
- "Piemonte" ha una zampa maciullata. Ho visto centinaia di tartarughe, questa ha una delle ferite più brutte che abbia mai visto
- "Vittorio Emanuele" ha una qualche malattia della pelle. E come se non bastasse la radiografia ha rivelato un amo in gola
- "Garibaldi" ha una grave ferita alla testa, forse di un'elica

Le cure costano, le medicine costano. Soldi non ne abbiamo più da tempo, ci stiamo mettendo i nostri stipendi, rinunciandovi, ormai da (troppi) mesi. Noi la nostra parte la facciamo, come l'abbiamo sempre fatta. I nostri appelli cadono nel vuoto.
Se qualcuno là fuori vuole dare una mano, cliccate su "Donate now"