sabato 27 agosto 2011

Ci vediamo ad Ancona

Sabato prossimo, 3 settembre, si svolgerà ad Ancona, presso il Ridotto del Teatro delle Muse, il convegno: "Sulla scia della tartaruga marina... per conoscere la biodiversità dei nostri mari". Io sono fra i relatori, dunque mi farebbe piacere vedervi lì. Ecco il programma:


Il giorno dopo, per chi fosse interessato, liberazione di due tartarughe:



martedì 23 agosto 2011

10 Cetacei che rischiamo di perdere

Nel 2007 il Baiji (Lipotes vexillifer), delfino che viveva nel Fiume giallo, in Cina, è stato ufficialmente dichiarato estinto. Il traffico navale e lo sfruttamento eccessivo delle risorse del fiume sono le cause imputate della scomparsa dei Lipotes. E’ la prima specie di cetaceo estintasi a causa dell’uomo. Un bel primato, non c’è che dire. Altre ne seguiranno? E’ possibile.
Ormai da anni si ripetono gli appelli per salvare un altro cetaceo, la Vaquita o focena del Golfo di California (Phocoena sinus), ne ho parlato qualche anno fa. E’ un piccolo delfino che vive nel mare di Cortèz, la parte settentrionale del Golfo di California, ed è stato classificato come Critically Endangered fin dal 1996. Questo dimostra come a volte queste “etichette” non siano altro che, appunto, etichette se non seguono azioni di tutela adeguate. Per intenderci, Critically Endangered significa “che sta fronteggiano un rischio estremamente alto di estinzione in natura”.
A quanto pare, il numero di nuovi nati ogni anno, non riesce a bilanciare gli animali morti, impigliati accidentalmente nelle reti da pesca, soprattutto da posta. E sono rimaste solo 250 Vaquita (c’è chi dice 150). Quanto manca prima di registrarla come seconda specie estinta a causa dell’uomo?

E ci sono altre specie di Cetacei a rischio? Sicuramente sì. Secondo Thomas A. Jefferson, del Southwest Fisheries Science Center di La Jolla, in California, ecco la (triste) top ten:
1.  Vaquita (Phocoena sinus)
2.  Balena franca nordpacifica (Eubalaena japonica)
3.  Balena franca nordatlantica (Eubalaena glacialis)
4.  Platanista (Platanista gangetica)
5.  Susa atlantica (Sousa teuszii)
6.  Cefalorinco di Hector (Cephalorhynchus hectori)
7.  Cefalorinco eutropia (Cephalorhynchus eutropia)
8.  Pontoporia (Pontoporia blainvillei)
9.  Orcella australiana (Orcaella heinsohni)
10. Susa indopacifica (Sousa chinensis)

Da notare che, mentre in genere si pensa alla scomparsa delle grandi balene, decimate il secolo scorso dalla baleneria, in realtà, a parte le due balene franche, che faticano a riprendersi, le restanti specie di questa poco simpatica classifica sono tutti delfini, in genere di piccole dimensioni.

L’idea di questo post mi è venuta proprio leggendo l’annuncio di un workshop che si terrà il prossimo 27 novembre in Florida, in occasione della Conferenza biennale sui Mammiferi marini, e che si intitola: salvare la Vaquita, stiamo facendo il possibile? Nell’introduzione si legge: “La maggior parte dei cetologi lavora principalmente su specie che sono relativamente abbondanti, e non spendono molto del loro tempo svolgendo lavoro di educazione e sensibilizzazione sulle specie in pericolo”. Che abbiano ragione?

venerdì 19 agosto 2011

Se sei bello ti proteggo

Sulla lista di discussione C-turtle qualcuno ha recentemente segnalato due articoli simili (questo e questo), per la verità nemmeno troppo interessanti, ma che sollevano un problema direi noto: gli animali più "belli", quelli rappresentativi e carismatici, sono meglio protetti degli altri? Cioè, nella nostra ansia (giustificata) di conservazione, tendiamo a concentrare di più i nostri sforzi sulle specie che "ci piacciono di più"?
La risposta mi pare chiaramente affermativa, e ve lo dice uno che lavora principalmente per la conservazione di delfini, tartarughe e squali, mica coleotteri e gamberetti (sebbene il mio rispetto per gamberetti e coleotteri sia pari a quello che cerco di dare a ogni altra specie animale). Non a caso, uno dei due articoli poi mette un link alle foto di "10 specie vicine all'estinzione" e 9 di queste sono mammiferi (e che mammiferi! orso bianco, gorilla, panda, rinoceronte, tigre... insomma, carisma a volontà) e una è un pesce (ma... gigante!).
Gli articoli partono dal fatto che nella lista delle specie in pericolo degli Stati Uniti pare stia per entrare la Caretta caretta (Tartaruga comune), mentre è stato negato l'accesso del verme gigante di Palouse. Insomma la tartaruga sì perchè è carina, il vermone invece no.
Dunque la risposta alla domanda con cui ho iniziato è chiaramente sì, proteggiamo meglio e di più le specie che ci colpiscono, ci affascinano, ci piacciono (è un po' meno così, va detto, per gli addetti ai lavori, i quali forse riescono meglio a comprendere tutte le sfaccettature della conservazione di specie e ambienti, qualunque essi siano). Ma perchè?
Forse perchè le motivazioni delle nostre campagne di protezione sono anche distorte, per esempio dando alla Natura un valore estetico per noi esseri umani, e che dunque ci porta logicamente verso le specie che meglio rappresentano questo concetto? O magari ricerchiamo nelle specie da proteggere caratteristiche simili a quelle umane, siano esse fisiche - ad esempio la capacità di mostrare espressioni diverse - o comportamentali (comportamenti di gruppo, socialità, legami familiari)?
Wikipedia, alla voce "Charismatic megafauna", se la cava dicendo che queste sono "grandi specie animali con un largo appeal che gli attivisti ambientali usano per raggiungere obbiettivi di conservazione che vanno oltre le specie stesse". Ad esempio, il panda sta scomparendo a causa della riduzione del suo habitat, e dunque per proteggere il panda dobbiamo per forza proteggere anche l'ambiente in cui vive. Ma sappiamo che non è sempre così: i tantissimi centri di recupero tartarughe marine in Italia e nel mondo, poco portano alla salvaguardia dell'ambiente marino, se non restituendo al mare le tartarughe curate. Così come l'applicazione di strumenti alle reti da pesca, come i TED, per ridurre le catture di tartarughe marine, sebbene importantissimi, sono solo ed esclusivamente mirati alla salvaguardia delle tartarughe stesse (anche se, incidentalmente, possono salvare anche pesci abbastanza grandi).
Ma forse la risposta è in definitiva semplicissima: c'è talmente tanto da fare che, dovendo scegliere, cominciamo da quello che ci piace di più. Non che questo sia giusto.

martedì 16 agosto 2011

Disegni

C'è stato un tempo in cui mi dilettavo a disegnare. Venti anni fa. Ecco sei disegni di allora, che ieri finalmente ho digitalizzato, così dureranno nel tempo... come fossero capolavori :-).

venerdì 12 agosto 2011

Per gli squali

Ci siamo. Anche quest'anno è ora di fare vedere che abbiamo a cuore la conservazione e la tutela degli squali, sempre più sul baratro della scomparsa dai nostri mari, colpiti dalla pesca eccessiva, dalle catture accidentali e dalla tremenda pratica del finning, cioè la cattura degli squali per taglire loro le pinne e venderle sul fiorente mercato orientale (per farci la "zuppa di pinne").
Il recente Piano d'Azione europeo per la protezione degli squali non affronta alcune questioni invece fondamentali: il divieto europeo sul finning contiene ancora possibili scappatoie al Regolamento, non tutela diverse specie in pericolo e non pone ai pescherecci europei limiti di cattura per diverse specie target.
Dal 15 al 23 ottobre si svolgerà anche quest'anno la Settimana Europea dello Squalo, a cura della Shark Alliance. A questa è collegata una petizione per sollecitare i Ministri della Pesca affinché proteggano gli squali dalla pesca eccessiva e dal finning.
Ecco, concretamente, cosa puoi fare:
1. firma la petizione e spargi la voce
2. informati e fai circolare le informazioni
3. raccogli altre firme
4. partecipa agli eventi della Settimana Europea dello Squalo

lunedì 8 agosto 2011

Le bugie di Oltremare

Con un comunicato stampa Oltremare si prende il merito di un'operazione che non ha mai compiuto.

E' uscito due giorni fa, sul sito Newsrimini.it, un articolo su Mary G. su uno studio condotto su di lei presso il parco Oltremare. Non mi interessa l'argomento dell'articolo, non qui. Se non sapete chi è Mary G. fate una ricerca all'interno del blog e troverete molte informazioni.
Quello che vorrei far notare è la parte intitolata "La storia di Mary G.". Contiene menzogne. Ho pensato a una interpretazione errata della redazione di Newsrimini. Allora li ho contattati, ecco la loro risposta: "La parte dell'articolo inerente "La storia di Mary G" e la parte titolata "C'è delfino e delfino" è stata riportata dal comunicato stampa diffuso da Oltremare." Vuol dire che era stata già scritta così da Oltremare.

Tutta la parte è scritta in modo impersonale, "si decide, si procede..." e lascia pensare che Oltremare ha deciso, ha proceduto, eccetera. E' una menzogna. Oltremare non ha deciso nulla.
Ma il peggio è dopo (il grassetto è mio): "Inizia così la storia dell’adozione del cucciolo rimasto orfano: grazie ad una serie di contributi esterni in supporto allo staff dei biologi di Oltremare s’inizia con l’allattamento artificiale – la piccola non è ancora autonoma per alimentarsi da sé...". E' una menzogna. Tutta l'operazione Mary G. è stata condotta dal personale della Fondazione Cetacea e dai 130 volontari che Cetacea stessa ha chiamato a raccolta da tutta Italia. Sono questi i collaboratori esterni? A tale operazione ha partecipato qualche persona dello staff di Oltremare (staff di biologi? Ma per favore!), e non certo il contrario.
Tutta l'operazione del salvataggio di Mary G. ha risvolti etici che io stesso ho spesso messo in discussione, successivamente, ma resta uno sforzo enorme e una impresa straordinaria compiuta da Fondazione Cetacea e dai suoi volontari. Oltremare ha collaborato, come lo hanno fatto in tanti, niente di più.

E stendo un velo pietoso sulla parte disneyana in cui Pelè "per istinto, le fa da mamma con dedizione e amore". Per chi vuole sapere come stanno realmente le cose, mi mandi una mail e gli spedisco questo articolo "Furlati S., Affronte M. (2010). Observations of a young female Risso's dolphin (Grampus griseus) in a community of bottlenose dolphins (Tursiops truncatus)", presentato a Lisbona nel 2010, al congresso dell'EAAM.

martedì 2 agosto 2011

L'urlo dei pesci

Ho sentito dire spesso, e sono d'accordo, che se i pesci urlassero, ci sarebbero meno pescatori. Magari non quelli professionali, ma quelli sportivi, senz'altro. In effetti, mordere con convinzione un boccone prelibato (l'esca) e trovarsi con la bocca trafitta da un arpione di metallo (l'amo), non deve essere molto piacevole. E nemmeno essere sollevati dall'acqua proprio appesi per questo arpione, provare un senso di soffocamento per trovarsi in ambiente aereo (i pesci respirano in acqua, che lo dico a fare?), essere afferrati da mani troppo calde e che stringono, e sentirsi strappare via la bocca per togliere l'amo, deve esserlo. E se questo fosse condito da urla strazianti?
In effetti, molto spesso l'alibi dei pescatori (e dei consumatori) è rappresentato dall'affermazione che i pesci non provano dolore, nel senso che ne sono fisiologicamente incapaci. L'idea era, e sottolineo era, che gli animali con una struttura cerebrale meno complessa, non provassero dolore. Ma è proprio così?
Sembra proprio di no, e ormai sono diversi gli studi che dimostrano proprio il contrario. Nel 2003, un celebre articolo, risultato di uno studio pubblicato dalla Royal Society, rivelava la presenza di recettori del dolore nella testa e attorno alla bocca delle trote. Non solo, lo stimolo di questi recettori provocava nelle trote comportamenti come movimenti agitati, e lo sfregamento delle labbra sulle rocce e sul fondo. Inoltre, ci mettevano il doppio del tempo a riprendere ad alimentarsi, rispetto a pesci usati come controllo. Lo studio concludeva che le reazioni sono coerenti con i criteri che identificano il dolore animale.
Uno studio ancora precedente mostrava che le carpe pescate all'amo, rimanevano, una volta rilasciate, per molto tempo senza mangiare. In pratica, superato il dolore e le ferite, rimaneva la paura di ripetere, mangiando, la stessa brutta esperienza.
E per quelli pescati con le reti? Beh, se la capacità provare dolore esiste, allora essere pescato in una rete deve essere senz'altro un'esperienza dolorosa. I pesci sono schiacciati gli uni contro gli altri, sottoposti a grande pressione. Quando la rete viene issata, lo sbalzo di pressione dalla profondità alla superficie può provocare rotture degli organi interni, fuoriuscita degli occhi e dello stomaco...
Vogliamo parlare dei crostacei bolliti vivi?
Basta, basta.

Ho scritto questo post perchè vorrei diventare vegetariano (soprattutto dopo aver letto Liberazione animale), ma ancora non ce l'ho fatta. Mi manca di eliminare gli affettati, il pollo, qualche sugo di carne e... il pesce. La verità? Ne ho ancora di strada, ma ce la devo fare.