venerdì 30 settembre 2011

Buon Viaggio Adriatico!

L'ebook "Viaggio Adriatico. Delfini, squali, tartarughe e altre storie: vita di un mare molto particolare." è finalmente pronto!
Lo trovate già in vendita a 7,99€ sul sito dedicato, dove potete anche leggere l'indice del libro e l'Introduzione. Fra qualche giorno sarà in vendita anche nelle librerie on-line, a 9,99€.

Viaggio Adriatico è la versione ebook del libro che uscirà a settembre 2012? 
No, quello di settembre prossimo è un altro libro, in versione cartacea, il cui titolo, ancora provvisorio è: "Cosa non farei per te. Storie vere di delfini, uomini e balene"

Perché un ebook?
Questo ebook nasce come una raccolta di scritti, che ho prodotto negli ultimi anni, adeguatamente rivisti e aggiornati, a quali ho voluto dare una veste più consona, un contesto più maturo. L'ebook, che lo si voglia o no, è l'editoria del futuro. Pubblicarlo in ebook mi ha consentito di farlo in tempi brevi (ci tenevo che uscisse prima del libro nuovo) e di renderlo disponibile a un prezzo decisamente accessibile.

Come si legge un ebook?
Viaggio Adriatico è disponibile in due formati: pdf e epub. Un file PDF lo puoi leggere direttamente dal tuo pc, scaricando il programma gratuito Adobe Reader. Un file EPUB lo puoi leggere con praticamente con tutti i lettori elettronici (eReader) in commercio, oppure direttamente dal tuo pc, scaricando il programma gratuito Adobe Digital Editions.

Di cosa parla Viaggio Adriatico?
Per molti l'Adriatico è un mare minore: acque troppo basse, spesso torbide, fondali limacciosi. Un mare per turisti che ne amano soprattutto le spiagge e le rive che degradano dolcemente. Pochi ne apprezzano la biologia e la varietà di vita; pochissimi lo conoscono per davvero. Questo è un libro sull’altro Adriatico, quello “sotto”, quello vivo e a volte dimenticato. Appunti, notizie, storie, raccontano di delfini, balene, tartarughe, pesci luna, squali, tonni, pesci, molluschi e crostacei che lo popolano così come riempiono le oltre 160 pagine di questo libro. Un mare che è come una culla. Le acque basse sono un rifugio, e se poi sono anche ricche di cibo ecco che diventano un ambiente accogliente e florido. Ma anche un mare fragile e delicato, messo in pericolo ogni giorno dagli scarichi di mille città, da una pesca intensiva, dalla maleducazione o l’incuria di chi non sa, per ignoranza o per pigrizia, apprezzarne le qualità oltre alle belle coste e ai porti accessibili. Buon Viaggio Adriatico.

giovedì 22 settembre 2011

Delfini vicino a riva

L'amica Simona Clò del CTS per l'Ambiente mi gira questa mail:
"Sono giorni che si vedono delfini in branchi molto nummerosi qui in adriatico vicinissimi alla costa (poche centinaia di metri) nel mare antistante senigallia.
Siamo usciti in barca in decine per vederli!!!!!!
Non mi era mai capitato vedere dei delfini a poche centinaia di metri dalla spiaggia!!!
Una perplessità:nessun giornale locale ne ha parlato!!!!Come se fosse un fatto di ordinaria routine.
Ho 66 anni,vado in barca da 55 ed è la prima volta che vivo un esperienza così emozionante."

Quest'estate non l'ho passata in Fondazione Cetacea (per la prima volta in 15 anni) e dunque non ho avuto notizie e segnalazioni di prima mano "dal mare", ma non è vero, come dice chi scrive, che nessun giornale ne ha parlato. Anzi, direi che una costante dell'estate 2011 è stata proprio il susseguirsi di segnalazioni e racconti di delfini sotto costa.
So di avvistamenti a Ravenna, in Abruzzo (con video), nelle Marche, per esempio a San Benedetto del Tronto e a Pesaro. La mia amica Christina mi dice che a Porto San Giorgio si sono visti per diversi giorni a 100 metri dalla riva ("Non ti ho raccontato che i delfini (tursiopi) poi li ho visti. Erano in branco e sono riuscita a contarne 6/7. Emergevano appena dietro la scogliera e solo per respirare. Alcuni, spuntavano fuori col rostro per non piu' di una 10 di secondi poi, tornavano sotto. Inutile raccontarti l'emozione!").

Insomma davvero una costante, soprattutto alla fine dell'estate, fine agosto-settembre. Difficile dire che cosa li porti così vicino. C'è chi dice che, siccome mai come quest'anno è risultato evidente il calo di pesce in Adriatico, i delfini vengono a cercarlo più vicino alla riva. E' un'ipotesi come un'altra, ma che può non essere così campata per aria.

Se è vero che i delfini sono affamati, allora forse si spiega anche quest'altra notizia: alle Eolie pescatori disperati dichiarano guerra ai delfini - che "non fanno altro che mangiare il pesce che finisce in rete e soprattutto danneggiano la stessa rete" -  e indicono una raccolta di firme per chiedere lo stato di calamità naturale ai governi nazionali e regionale. Un caso evidente di competizione alimentare?

venerdì 16 settembre 2011

Strage di tartarughe in Mediterraneo

Mentre da una parte leggo pessime notizie per le tartarughe marine in Mediterraneo (Casale P. "Sea turtle by-catch in the Mediterranean"), da un'altra parte mi fa piacere che i dati e i numeri siano molto più incoraggianti.
Nell'articolo di Paolo Casale si legge che ogni anno in Mediterraneo vengono catturate accidentalmente, dagli attrezzi da pesca, oltre 132.000 tartarughe marine. Un numero spaventoso, aggravato dalla stima che 44.000 di esse muoiono a seguito della cattura. Una strage.
L'altro articolo invece, pubblicato su Biological Conservation ci informa che nelle acque degli Stati Uniti, circa 20 anni fa, le tartarughe catturate erano qualcosa come 300.000, e 70.000 di queste trovavano la morte. Ripeto, venti anni fa. Eh sì, perché oggi invece le tartarughe che muoiono ogni anno a causa della pesca nelle acque statunitensi sono diventate "solo" 4.600, mentre le catture totali si sono ridotte del 60%.
Riassumendo, se ne catturano molte meno, e di queste una bassa percentuale trova la morte.
Come sono arrivati a questo? Con l'introduzione di diverse misure, ad esempio:
- l'utilizzo di ami circolari e del kit per slamare la tartaruga, per le barche che pescano con il palamito (lunga lenza con migliaia di ami);
- l'uso dei TED (Turtle Excluder Device) nelle reti che pescano gamberetti. I TED sono griglie metalliche che applicate alla rete consentono alla tartaruga catturata di fuggire via;
- la chiusura della pesca per certi periodi e in certe aree in cui è più frequente che vi si trovino le tartarughe.

Passare da 70.000 a 4.600 tartarughe morte all'anno io lo chiamo un successo. Ottenuto con misure e politiche della pesca che mettono insieme gli interessi della pesca con quelli della conservazione. Ancora molto si può fare, ma in Mediterraneo e in Italia in particolare mi accontenterei di un inizio simile.
Gli ami circolari (è più difficile che le tartarughe li ingoino, rispetto ai classici ami a forma di J) sono stati testati e distribuiti in Italia, durante il progetto Life "Tartanet": i risultati furono interessanti ma non so dire che diffusione abbiano attualmente questi ami.
Nello stesso progetto, su mia proposta, fu inserita le sperimentazione dei TED nelle reti a strascico dell'Adriatico. Ci lavorammo insieme a CTS per l'Ambiente e soprattutto al CNR-Ismar di Ancona e i risultati sono stati molto incoraggianti, ma incompleti. Purtroppo servirebbe un'ulteriore tranche di sperimentazioni, ma non si è mai più riusciti a trovare i fondi necessari.
I passi sarebbero: 1. finire la sperimentazione e, in caso di esiti positivi, 2. spingerne, a livello istituzionale, l'applicazione su tutte le reti a strascico. Sarebbe un passo strepitoso: in una mossa salveremmo più tartarughe marine di quante ne possano rimettere in mare in un anno tutti i centri di recupero di Italia messi insieme. Ma mancano i soldi (e la volontà?).

domenica 11 settembre 2011

Il mio "Manifesto Futurista Della Nuova Umanità"

L’evoluzione non è un processo continuo che “dà origine a specie sempre più evolute”, per giungere “all’essere più evoluto di tutti: l’uomo”. L’evoluzione è un processo fondamentalmente casuale, che si basa sulla selezione naturale, e che origina nuove specie, non in linea retta, ma a cespuglio. Un cespuglio vario, ramificatissimo, intricato. L’esistenza dell’essere umano, come quella di ogni altra specie, è frutto di un caso. L’uomo soprattutto non è il fine dell’evoluzione, nè il culmine.

Dire che l’essere umano, o che qualunque altra specie, è la specie più evoluta, non ha alcun senso. Il risultato dell’evoluzione è l’adattamento (in genere momentaneo) a un dato ambiente. Gli squali, i pesci, i delfini sono molto più adattati alla vita nell’acqua, di quanto non sia l’uomo. Il lombrico è molto più adattato di noi a vivere sotto terra, e così via più o meno per qualunque specie. E se invece la misura del grado di evoluzione è la capacità a sopravvivere ed adattarsi a più ambienti diversi, allora non c’è dubbio che molto più evoluti di noi sono i batteri, capaci di vivere e prosperare a valori di temperatura, pressione, pH, per esempio, assolutamente pazzeschi (per l’essere umano, si intende).

L’intelligenza non è l’elemento che caratterizza la nostra “massima evoluzione”. Come visto sopra, non siamo più evoluti (perchè non ha senso affermarlo) perchè siamo più intelligenti. L’intelligenza è una conseguenza della nostra particolare storia evolutiva, una caratteristica acquisita nel tempo, e rivelatasi adattativa. Le pinne dei pesci, le ali degli uccelli, il senso elettro-magnetico degli squali, l’esoscheletro dei crostacei, l’intelligenza dell’uomo: tutti caratteri evolutivi, utili e preziosi alle specie che li portano. Il fatto che l’intelligenza ci permetta (unica specie, probabilmente, a farlo) di ragionare sui noi stessi, e sulle altre specie, non ci mette al di sopra di queste, non a livello evolutivo, nè tanto meno di superiorità o dominanza.

L’idea che l’uomo sia il fine ultimo dell’evoluzione, o la massima espressione della stessa, produce spesso l’idea terribile che il mondo e le sue creature siano al nostro servizio. Se tutto il processo evolutivo mirava ad arrivare a noi, allora tutto è lì per noi. Questa idea, dalle conseguenze devastanti, è stata perpetrata per millenni. Ne sono, in grandissima parte, responsabili le religioni, in particolare quella cristiana-cattolica, che hanno rappresentato l’essere umano “a immagine e somiglianza di dio”, o come essere speciale agli occhi di dio. Non solo, le sacre scritture riportano molte volte il concetto che il mondo è a nostro uso e consumo, e che noi dobbiamo comandare “sui pesci del mare e sugli uccelli dell'aria, sul bestiame e su tutta la terra, e su ogni cosa che striscia sul terreno”.

L’essere umano non è il centro dell’universo. Una volta lo si credeva in senso letterale. L’uomo come specie dominante sulla Terra, che era al centro dell’universo. Ora sappiamo che la Terra è un piccolo pianeta di uno dei miliardi di sistemi solari dell’universo. Neppure il Sole gira intorno a noi, ma è la Terra che ruota attorno alla sua stella di secondaria importanza (e la Chiesa ha fatto pagare duramente questa rivelazione a Galileo). E non siamo che una delle milioni di specie che la abitano. Come dice Gould, siamo “un effimero accidente cosmico che non si verificherebbe di nuovo neppure se si ripiantasse l’albero della vita dallo stesso seme e lo si facesse crescere nelle stesse condizioni.”

Il nostro grande cervello, e dunque la nostra intelligenza, ci ha dato la capacità di occupare ampie aree e ambienti molto diversi del pianeta, e anche di sfruttarne, in una maniera mai vista prima e mai eguagliata, le risorse. L’animale uomo è una specie fortemente adattabile, grazie alla capacità che un cervello sviluppato ci ha fornito, e il nostro ecosistema è il pianeta stesso. Ma dobbiamo ricordarci chi siamo specie fra le specie, ospite fra gli ospiti.
Se una specie non si integra in un ecosistema, non entra nell’equilibrio che quell’ecosistema sottende e regola, alla fine deve soccombere. Le regole che governano i sistemi naturali, che pure abbiamo studiato e appreso, non ci mettono al di sopra di esse. La nostra tecnologia, che ci ha permesso di prosperare sempre di più, anche e soprattutto a spese delle risorse globali, può causare la nostra distruzione, probabilmente per esaurimento delle risorse stesse.

L’intelligenza, che ci ha fornito la tecnologia con la quale abbiamo “conquistato il pianeta” deve ora farci comprendere come fermarci e come reinventarci, per essere parte di un equilibrio, e non distruttori e sfruttatori dello stesso. Il nostro cervello, la nostra capacità di coscienza, ci consentono, unici fra le specie, di preoccuparci del nostro pianeta e di prendere decisioni per agire per un “bene comune”, nostro e degli altri coinquilini della Terra. Ora o mai più, è il momento di farlo.

lunedì 5 settembre 2011

Assalto agli oceani

Vi segnalo un articolo che ho scritto per il nuovissimo Blog del CCPB (Consorzio per il controllo dei prodotti biologici).

"L’assalto sistematico agli oceani è partito subito dopo la seconda guerra mondiale. La pesca è sempre stata un’attività che l’uomo ha praticato, con difficoltà e con caparbietà. La pesca tradizionale vedeva impegnati uomini..." continua a leggere l'articolo

venerdì 2 settembre 2011

Delfino morto, e polemiche

Vorrei invitarvi, se avete qualche minuto di tempo, a leggere questa sequenza di articoli, tutti relativi allo spiaggiamento e alla morte di un cucciolo di delfino (tusiope), in Toscana:

Qualche considerazione, così, come viene:
- il delfino era un cucciolo, solo, malato. Era condannato. Questo non cambia la sostanza delle cose nè della polemica che ne è seguita, ma va tenuto presente soprattutto per non farsi condizionare nel giudizio nel momento in cui si pensa: facendo questo, facendo quello, lo si poteva salvare;
- mi sembra una situazione in cui tutti hanno ragione: i bagnanti che sono intervenuti, per non aver voluto restare con le mani in mano (umanamente impossibile) e per la loro legittima lamentela sul fatto che le autorità o gli esperti non sono intervenuti in tempo; gli esperti che, come ha spiegato la dr.ssa Marsili, non hanno avuto il tempo di farlo (conosco personalmente Letizia, e spero che il mio giudizio non sia influenzato da questo, ma le sue spiegazioni mi paiono convincenti);
- c'è stato un "interventismo" esagerato nei bagnanti? Dai racconti, sembra di sì, anche se pienamente giustificabile. Ma forse, trovandoti alla prese con qualcosa di più grande di te, e di cui non sei esperto, è meglio stare sul "meno fai, meglio è". Insomma, fai il minimo indispensabile (si racconta invece, non so se sia vero, del delfino trattenuto contro la sua volontà, di respirazione bocca-sfiatatoio...), metti la situazione in sicurezza per quanto possibile, poi aspetta l'arrivo di chi è competente. Il quale non sempre però, è bene saperlo, arriva in tempo
- c'è, in Italia, una carenza di personale, enti, strutture, autorità autorizzate e competenti a intervenire in questi casi? Oh sì. Anche se, stranamente, la Toscana, essendosi dotata di una sua rete regionale, dovrebbe essere una regione fra quelle messe meglio. Ma i gruppi che possono e sanno intervenire sui vivi sono davvero pochi. Speriamo che, quando sarà a regime, la task force voluta dal Ministero dell'Ambiente, la prima del suo genere di questo tipo, cioè con dotazioni tecniche e di personale davvero di alto livello, possa ben presto ripianare questa mancanza. Ma non illudiamoci, casi come questo ricapiteranno. 

Letizia Marsili, in un lungo commento su Facebook scrive: "Per quel che riguarda i fatti, avevo appena iniziato a cenare quando ho ricevuto la chiamata e alle 23 ho fatto la dissezione. Neppure con un aereo sarei potuta intervenire in tempo visto che Carbonifera si trova a circa 1 ora e mezzo da Siena e l'animale è deceduto alle 21." Nonostante ciò, la polemica si è accesa. Perchè l'animale comunque è morto. E anche se non sta alla "gente comune" essere preparata su come si interviene su un Cetaceo spiaggiata, forse una migliore è più completa "cultura della natura" dovrebbe contemplare anche la morte come un fatto spesso inevitabile. Naturale.