sabato 28 maggio 2011

Schiavi

Leggo, trovo, mi ci imbatto in notizie e documenti che trattano argomenti come decrescita, transition, downshifting. Sono visioni e discipline diverse tra loro ma con punti in comune. E soprattutto denunciano un modello di società, il nostro, basato sull’economia, che ormai si è rivelato come fallimentare. Destinato a crollare.
Siamo tutti schiavi del cane che si morde la coda, produrre-consumare, consumare-produrre. Corriamo come criceti dentro alla ruota del lavoro e dei soldi, lavoriamo come formiche impazzite, tutta la vita, dimenticandocela, spesso, la vita. Chiusi dentro le nostre auto, avanti e indietro, con il tempo che ci corre dietro, perchè non ce n’è mai abbastanza.
Decrescita, downshifting. Urlano che bisogna rallentare, frenare, guardarsi un attimo intorno, che ci serve meno, che possiamo guadagnare tempo e perdere il superfluo. C’è tanto da leggere sull’argomento, siti, libri.
E come tutto questo diventa drammaticamente, maledettamente vero quando due papà corrono dietro a lavoro e scadenze e impegni e orari e si dimenticano una parte di loro stessi in macchina, a morire. Non giudico. Ma piango, per quei bambini, per quei papà. Sono papà anche io. E resto sbigottito rispetto a cosa siamo diventati. Davanti all’immensità della follia che è insita dentro la specie più intelligente del pianeta.

sabato 21 maggio 2011

Finalmente la verità sui capodogli del Gargano

Dopo lunga attesa è finalmente stato pubblicato il lavoro finale sul caso dei sette capodogli spiaggiati al Gargano, e sulle cause di morte. Chi non ricorda quell'evento, può leggere qui, e qui, per esempio.
Avevo anche già scritto di come, non solo i media, ma anche qualche "scienziato frettoloso" avesse ben presto concluso che fossero morti a causa della plastica che avevano ingerito e che era in effetti stata trovata nei loro stomaci. Per i media tale notizia era troppo ghiotta, e dunque l'avevano cavalcata.
C'erano poi ipotesi anche relative alle possibili concomitanti prospezioni geologiche, con l'utilizzo degli air-guns, cioè i cannoni ad aria compressa che servono a rilevare per esempio giacimenti petroliferi in profondità.

Il titolo dell'articolo, scritto a molte mani, ma che ha come primo autore Sandro Mazzariol dell'Università di Padova, non ha il classico titolo iper-tecnico e serioso delle pubblicazioni scientifiche; recita invece: "Qualche volta i capodogli non riescono a ritrovare la strada per i mari profondi: uno studio multidisciplinare su uno spiaggiamento di massa."

Il lavoro svolto su quegli esemplari è stato molto complesso. Tre delle sette carcasse sono state sottoposte a una autopsia molto approfondita. Sono state compiute analisi biologiche, genetiche, tossicologiche, istopatologiche, insomma come dice il titolo, si è analizzato il fenomeno sotto diversi aspetti e con un approccio, appunto, multidisciplinare.
Da notare che tre dei sette esemplari erano animali "conosciuti", cioè già precedentemente foto-identificati. Erano:
- Cla, maschio fotografato per la prima volta nel 2002 nel Mar Ligure, e poi riavvistato altre cinque volte, nel 2003, 2005 e 2007. Era in genere solitario, o in compagnia di altri maschi;
- Pomo, maschio anche lui identificato nel Mar Ligure nel 2003, in un gruppo di altri maschi;
- Zak Whitehead, visto per la prima volta nel 2000 nello Ionio sudorientale, e rivisto altre sette volte, dal 2002 al 2005, sempre nello stesso gruppo sociale.

Le conclusioni dunque, sulla morte di questi sette esemplari, portano a diverse cause concomitanti. Non sono stati rilevati problemi di tipo biologico (tipo malattie) nè sindromi riferibili all'utilizzo di sonar o air-guns, sebbene, concludono gli autori, non è da escludere che le prospezioni geologiche abbiano potuto avere il loro effetto.
In definitiva, sembra invece che i sette capodogli abbiano preso una "direzione sbagliata" (tra virgolette anche nell'articolo) e si siano infilati nell'Adriatico, una trappola per questi animali. Tutti mostravano chiaramente i segni della fame e della privazione di cibo. Tutti avevano alte concentrazioni di inquinanti, in diversi tessuti. Questi inquinanti erano principalmente organo-clorurati, che sono sostanze chimiche che si trovano nei pesticidi, principalmente.
Non mangiando da molto tempo, il metabolismo ha cominciato a sciogliere il tessuto adiposo (i grassi di riserva) e dunque a mettere in circolo nel sangue anche questi inquinanti che qui erano rimasti immagazzinati. Queste sostanze hanno abbassato le difese immunitarie e danneggiato il sistema nervoso.

In poche parole, i capodogli hanno perso la strada, per cause difficili da indovinare, e poi la fame e gli inquinanti di origine umana hanno fatto il resto. Si conclude così un'indagine che, per diversi motivi, lascia senz'altro con l'amaro in bocca.

giovedì 19 maggio 2011

mercoledì 11 maggio 2011

Perchè non mi piacciono i reef artificiali

Per pura coincidenza, proprio in questo periodo in cui ho scritto del pesce che in Adriatico, e in Italia in generale, sta finendo a causa della pesca eccessiva, mi stanno arrivando diverse comunicazioni di progetti per il ripopolamento dell'Adriatico mediante la messa in posa di barriere (reef) artificiali. C'è un progetto a quanto pare addirittura della Regione Emilia-Romagna per farlo al largo di Riccione, un altro progetto per distribuire reef un po' su tutto il bacino, mentre ho avuto diverse chiacchierate con sub che cercano di convincermi di quanto sarebbe utile, da diversi punti di vista, affondare in mare ad esempio carcasse di autobus, per dare vita a barriere artificiali, che poi si popolano di vita.
L'idea non è neppure nuova, ad esempio nel Delaware, in USA, hanno affondato vagoni della metropolitana
Razionalmente, l'idea dovrebbe piacermi. Sono d'accordo (direi che è dimostrato) che i reef artificiali "farebbero bene" all'ambiente. Sono d'accordo che si creerebbe un ricco ecosistema in quei punti, e che lì i pescatori non potrebbero pescare.
Sono d'accordo che ci sarebbe un ritorno nel turismo legato alla subacquea e ai diving center.

Eppure perchè resto, almeno per ora, contrario? Per principio, direi.

Non ci inalberiamo e ci indigniamo quando l'uomo modifica l'ambiente in senso negativo: depredazione, estrazione, deforestazione, impatti vari, ecc.. Non ci piace perchè l'ambiente naturale viene modificato per i nostri scopi e i nostri fini. Io sono dell'idea che l'ambiente naturale non vada modificato, punto e basta. Ciò significa nel bene e nel male. Altrimenti diventa un'altra cosa: più brutta, più bella, non importa: è un'altra cosa.
L'Adriatico è un ambiente particolare, con i suoi fondali sabbiosi o melmosi, e tutta la vita che su questi vive. E' fatto così. Se c'erano dei reef sarebbe stato un altro ambiente, ma lo sarebbe stato per natura, non per nostro volere.

I subacquei, se amano osservare l'ambiente marino, devono osservare quello che c'è, quello che la natura mette loro a disposizione. Se vogliono fondali sabbiosi qui si trovano bene. Se vogliono scogliere vanno al Conero o alle Tremiti, se cercano la barriera corallina vanno in Australia. Sono loro che si muovono in cerca dei vari ambienti naturali, non sono gli ambienti che devono venire da loro. L'ambiente naturale non è un juke-box, non soddisfa le nostre voglie, a richiesta. 
L'Adriatico ha tantissimo, basta avere voglia di conoscerlo, così com'è. E se molto di quello che ha non si riesce a vedere, pazienza. Non dobbiamo avere sempre proprio tutto, no? Ci basta sapere che c'è, e che la natura è stramaledettamente meravigliosa anche senza il solito bipede invadente.

mercoledì 4 maggio 2011

Il Fish Dependence Day

Molto interessante, e anche tanto sconcertante, il comunicato stampa che le organizzazioni Ocean2012 e NEF hanno emesso qualche giorno fa. Vi riporto qui il cuore del comunicato:
"Basandosi sui livelli delle importazioni e dei consumi registrati dal 2007, se l’UE consumasse solo il pesce proveniente dalle proprie acque, esaurirebbe i suoi stock ittici il 2 luglio, diventando dal giorno dopo totalmente dipendente dal pesce importato dal resto del mondo.
Dal 2000, il Fish Dependence Day dell’UE arriva sempre prima nell’arco dell’anno, attualmente quasi un mese prima, dimostrando un livello sempre crescente di dipendenza dai prodotti ittici importati.
Per alcuni Stati Membri, il giorno esatto a partire dal quale diventano dipendenti dal pesce di importazione è: Portogallo, 26 aprile; Germania, 27 aprile; Italia, 30 aprileSpagna, 8 maggio; Francia, 13 giugno; Regno Unito, 16 luglio.
Gli effetti del sovrasfruttamento degli stock ittici europei - e di conseguenza della disponibilità di pesce nei mercati e sugli scaffali dei supermercati - sono mascherati dall’aumento delle importazioni di pesce proveniente da altri mariLo sviluppo dell’acquacoltura ha fallito nel cercare di bloccare la crescente dipendenza dal pesce importato."
Mi sembra già abbastanza chiaro ma aggiungo anche le dichiarazioni di Aniol Esteban, di nef/OCEAN2012 e co-autore del rapporto“ Il rapporto dimostra che, avendo fallito nella gestione degli stock ittici, gli Stati Membri dell’UE si procurano il pesce altrove piuttosto che impegnarsi per riportare gli stock ittici ad un buono stato di salute. Consumare molto più pesce di quanto le acque europee siano in grado di produrne significa compromettere il futuro degli stock ittici e delle comunità che dipendono dalla pesca e mettere a rischio posti di lavoro e mezzi di sussistenza sia in Europa che in altre parti del mondo".
Il messaggio mi pare, mi ripeto, molto chiaro. Invece quella della data del Fish Dependence Day è ovviamente una provocazione, che può generare qualche incomprensione. In effetti si può pensare che in Italia, dal 30 aprile in poi si mangi solo pesce importato, mentre fino a quella data solo pescato nazionale. Ovviamente non è così. Pesce italiano e pesce importato sono insieme sui banchi di pescheria per tutto l'anno, ma se prendessimo tutto il pescato italiano e tutto quello importato e li separassimo, il primo coprirebbe i primi 4 mesi, il secondo il restante periodo. Ecco la provocazione di fissare una data di "dipendenza" dal pesce importato.
Chiaramente, su questioni così importanti, purché il messaggio passi - e il messaggio è: peschiamo troppo e di conseguenza importiamo troppo - va bene anche qualche trucchetto. E infatti la notizia ha avuto una buona eco su stampa e tv.
Da notare che una delle più grandi associazioni di pesca italiane, l'AGCI, ha risposto con un suo comunicato, in cui si dice che "questa è l’ultima trovata di Organizzazioni ambientaliste sempre in cerca di dichiarazioni ad effetto sull’opinione pubblica per drammatizzare e deformare un dato noto da molti anni e cioè che la domanda interna supera l’offerta di pesce italiano". Notare la finezza: non si dice che ormai c'è talmente poco pesce che bisogna importarlo, ma "la domanda di pesce italiano supera l'offerta".
L'AGCI poi prosegue: "“Il messaggio distorto passato sui media è che il pesce italiano sarebbe finito. Un’assurdità che costituisce una vera e propria disinformazione che può avere un’incidenza sul nostro mercato. Ma i consumatori continueranno a trovare nelle nostre pescherie, per tutto l’anno, anche pesce italiano accanto a quello importato come indicato dalle etichette a norma europea, mentre messaggi fuorvianti ed irresponsabili non risolveranno i problemi dell’ambiente e della pesca sostenibile che per essere affrontati hanno bisogno di un approccio serio lontano dalle dichiarazioni ad effetto e di dati scientifici su cui basare scelte politiche tecniche e gestionali”.
Bene. Mi pare però che l'AGCI si preoccupi più della forma che della sostanza: qual'è il suo "approccio serio" per risolvere i problemi dell'ambiente e della pesca sostenibile? Nel comunicato non se ne parla.