lunedì 30 dicembre 2013

Sperimentazione animale, etica, e mal di pancia.

Ho assistito, era quasi impossibile non farlo, al polverone suscitato dalla studentessa Caterina Simonsen, e alla discussione decisamente troppo isterica e spesso male informata che ne è seguita. Ho letto e sentito persone parlare della sperimentazione animale (spesso definita vivisezione, anche quando non lo è), da una parte e dall'altra, con una sicurezza che richiede competenze e conoscenze che pochi hanno. Io non ne ho: né di certezze, né di competenze. Leggo, e tendo a fidarmi, di scienziati che dichiarano che la sperimentazione sugli animali, attualmente, non può essere sostituita da altre forme di sperimentazione. Ma leggo anche altrettanti fonti, anche autorevoli, che le prove sugli animale non sarebbero predittive per la nostra specie, e che ogni specie può essere modello soltanto di se stessa.
Io non lo so. Non sono un medico, e nemmeno un biologo che studia questi campi. Spesso ho avuto l'impressione che questi esperimenti fossero strettamente necessari solo per una percentuale di quelli effettivamente praticati. A volte la penso come una soluzione di comodo: perchè studiare metodi alternativi quando abbiamo già questi, consolidati e disponibili? Mi rendo conto però della mia ignoranza in materia. Inoltre ho una visione molto (estremamente) laica e vedo l'uomo solo come specie tra le specie. Dunque ho davvero forti mal di pancia, rispetto alla sperimentazione animale.

Vorrei però dire una cosa, e mi scuserete se risulterà disturbante, e se uso un ragionamento per assurdo, che può infastidire.
Siamo tutti contrari a una sperimentazione fatta su esseri umani non consenzienti, per esempio su disabili mentali. E' così, non dobbiamo nemmeno pensarci. E' una questione di etica e di morale.
Se qualcuno ci dicesse che si potrebbero salvare molte vite, facendo sperimentazione su persone disabili mentali, noi diremmo: no, non se ne parla nemmeno. E nessuno ci direbbe: "ma come? non pensi alle persone malate che si potrebbero curare con le medicine ottenute da quelle sperimentazioni? non sacrificheresti la vita di chi non ha nemmeno coscienza di sé, per salvare quella di persone che hanno famiglia, affetti, sentimenti?" 
No, e poi ancora no. E le persone che soffrono di quelle malattie? Devono rassegnarsi. Se quello è, al momento, l'unico modo di trovare una cura, allora significa che non c'è cura. La scienza avanzerà, pian piano ci arriverà, ma al momento non c'è nulla da fare. Si devono rassegnare, e farsene una ragione, come già adesso fanno tutte quelle persone sfortunate che si trovano a combattere con malattie con cui puoi solo venire a tremendi patti.
Ecco forse, fra gli animalisti (nel mio caso, molto meglio anti-specisti), in mezzo ai molti fanatici, c'è anche chi intravede che magari, laggiù, un po' più avanti nel tempo, ci può essere una nuova etica, una nuova morale, che un giorno ci impedirà di sperimentare su altri esseri viventi. Anche se può servire a salvare la vita di un altro essere vivente, e anche se quest'ultimo è un umano. Un'etica che ci spingerà a dare il massimo e a moltiplicare gli sforzi per trovare nuove forme di sperimentazione, o a potenziare quelle già esistenti, perché sperimentare sugli animali non sarà più un'opzione. Non sarà più accettabile, punto e basta.
Non sto auspicando niente. Sto solo dicendo che si può pensare a una concezione etica di questo tipo, senza che questo debba suscitare reazioni isteriche: si tratta di concezioni e "visioni" diverse. Non per tutti l'uomo è al centro dell'universo.

Tutto il resto, le urla, gli strepiti, le accuse, e i media che si svegliano perché fiutano il caso e banalizzano tutto, è solo un inutile contorno.
Qualcuno ci dovrebbe chiarire quanto e se serve la sperimentazione animale*. Ne abbiamo bisogno tutti.
Qualcun altro dovrebbe capire che si possono avere concezioni diverse della vita, di cosa è etico, e del ruolo dell'uomo nel mondo, anche diverse. Anche molto diverse. Non inferiori, non superiori, non scandalose. Diverse.

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* Aggiornamento: qui un bell'articolo che riassume la situazione della sperimentazione animale in Italia

giovedì 19 dicembre 2013

Altamarea in tv

Domattina, alle 11, al Museo della Marineria di Cesenatico ci sarà la conferenza stampa di presentazione della nuova trasmissione di San Marino RTV, "ALTAMAREA – Storie di Mare e di Marinai".

Un programma nato per raccontare il mare, la sua gente, le memorie di chi per tutta la vita ha “cavalcato le onde”, le emozioni di chi ogni giorno “molla gli ormeggi” o di chi, con entusiasmo e passione, si appresta a farlo.

In 14 puntate, della durata di 10 minuti ciascuna, offre ai suoi telespettatori altrettante storie coinvolgenti, capaci di trasportare nel difficile mondo marinaro degli anni a cavallo del secondo conflitto mondiale, passando dalle evoluzioni di una professione totalizzante come quella del pescatore o gli sviluppi turistici del mare, arrivando fino ai giorni nostri.
14 puntate che hanno per protagonisti vecchi lupi di mare, marinai imbarcati sulle grandi navi mercantili o sui rimorchiatori, maestri d'ascia, ufficiali delle Capitanerie di Porto, scienziati ed esperti della biologia marina, insieme con chi vede e vive il mare affacciato sulla battigia.

Posso dire di essere davvero orgoglioso di essere fra i personaggi intervistati e dunque protagonisti di queste Storie di Mare.

Qui puoi leggere il comunicato stampa completo con l'elenco di tutti i personaggi intervistati.

mercoledì 18 dicembre 2013

Quel particolare legame fra uomo e delfino (ammesso che esista)

Justin Gregg è un biologo, ricercatore presso il Dolphin Communication Project, e scrittore e divulgatore freelance. Ha da poco scritto un libro che si intitola "Are dolphins really smart?" (I delfini sono veramente intelligenti?), libro che è già da un po' nella mia lista dei desiderata, ma che ancora non ho avuto modo di acquistare.
Seguo da un po' anche il suo blog, e mi ha incuriosito l'articolo che ha scritto qualche settimana fa per la rivista AEON Magazine. L'articolo, che potete leggere qui, si intitola "I delfini hanno un rapporto speciale con gli esseri umani?"
Beh, è quello che mi sono chiesto molte volte anche io e che ho anche cercato di approfondire con le storie del mio "Jack il delfino e altre storie di mare". Argomento intrigante.
E' un po' quello che pensano tutti, no? I delfini sono animali un po' speciali e spesso cercano il contatto e la vicinanza con l'uomo. E' come se condividessimo qualcosa (l'intelligenza? il fatto di essere entrambi mammiferi?). Questo è un po' il pensiero comune, dove emozione e ragione però si mescolano per dare questo mix di sentimenti e "percezioni". 
Dal punto di vista dello scienziato, della razionalità, dell'esame dei fatti, le cose forse non stanno propriamente così.*
Ed in effetti Gregg, a contrasto di questa tesi sulla particolare passione dei cetacei per l'uomo, coglie dei punti molto interessanti.

Parte dai lone sociable dolphins, cioè quei delfini, in genere solitari, che lasciano la vita del loro gruppo, per spostarsi a vivere nelle vicinanze dei luoghi abitati dall'uomo, interagendo spesso con questo. Situazioni che in realtà parrebbero a favore dell'ipotesi che in effetti i delfini abbiano una certa predilezione per la nostra specie. Che poi, però, questi rapporti siano particolarmente amichevoli, è tutt'altra questione.
I report che elencano i casi di delfini socievoli sono anche pieni di interazioni "deviate" (comportamenti sessuali o eccessivamente possessivi rivolti verso persone) e di incidenti non di poco conto: ferite, contusioni, costole fratturate, persone trascinate sott'acqua o alle quali viene impedito di uscire dall'acqua stessa. Ci sono casi noti ed eclatanti: quella della donna presa per una gamba da un globicefalo (un particolare delfino) e trascinata più volte sotto, e quasi annegata. Il giovane ucciso in Brasile nel 1994 da un delfino (che aveva già spedito in ospedale altre 28 persone) - unico caso noto di incidente mortale. Il caso più recente della donna e del delfino Dusty.
Justin Gregg argomenta a lungo questo punto e vi invito a leggere il suo articolo per intero.

Altra questione: i delfini che salvano esseri umani. I racconti li avete sentiti tutti: persone che stavano annegando sostenute da uno o più delfini. O delfini che tengono lontani gli squali.
Non esistono prove documentate, solo aneddoti e racconti. Che però sono numerosi ed è difficile credere che siano tutti inventati. Inoltre si sa che i delfini mettono in atto questi comportamenti con i propri simili, dunque si pensa che possano, come dire, "traslarli" anche su altre specie.
Il punto è che non è affatto una regola e, anzi, i casi in cui i delfini non intervengono in queste situazioni di esseri umani in pericolo possono essere, per quanto ne sappiamo, molto più numerose di quelle "positive". In questi casi infatti, la persona in difficoltà, non essendo "salvata" da nessuno, semplicemente non potrà più, per ovvi motivi, raccontare la sua avventura.

Ultimo punto. Se esiste un legame fra noi e loro, questo è vero e documentato solo per pochissime specie, il tursiope fra tutti, fra le 40 che compongono la famiglia dei delfinidi. E guarda caso sono proprio le specie più costiere e che quindi hanno maggiori probabilità di... incontrarci.

Insomma, può darsi che storie, aneddoti, leggende e racconti ci dipingano un legame fra due specie che forse non c'è, o non è troppo diverso da quello che possiamo avere con altri animali. A questo si aggiunge una nostra, particolare predilezione per i delfini (così come per altri animali simbolici), che magari siamo portati a pensare come reciproca. In ogni caso la questione è interessante e merita le riflessioni che ci troviamo a fare e che Justin Gregg ha condotto in maniera molto coinvolgente nel suo articolo.


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* E questo nonostante io stesso, in Jack il delfino abbia scritto che "il ricercatore che volesse esaminare con i freddi strumenti della scienza il rapporto fra uomo e delfino, dovrebbe ben presto arrendersi all’evidenza che nei rapporti fra le due specie c’è evidentemente qualcosa che va oltre la semplice occasionalità dell’incontro e la mera curiosità di una specie verso l’altra."

sabato 7 dicembre 2013

Museo della Marineria di Cesenatico: una bella storia

Non ricordo quando ho visitato per la prima volta il Museo della Marineria di Cesenatico. E' stato qualche anno fa, e ci sono capitato per caso, non sapevo esattamente dove fosse (forse neanche che ci fosse...).
D'altra parte, credo abbia aperto i battenti nel 2005 o giù di lì.

E' un posto che ti cattura già dalla prima visita, o almeno a me è successo così. E si trova in uno dei luoghi dove più mi piace passeggiare: il porto di Cesenatico. Il Museo è dedicato alla marineria; entri e ti trovi in un mondo fatto di legno, storia, lavoro, tradizione, strumenti e persone. E mare.
Entri e un paio di grandi imbarcazioni, complete, ti lasciano a bocca aperta, perché non te le aspettavi; non ti aspettavi un salone grande, ampio e luminoso, e delle intere barche dentro a un museo. Le barche ti invitano a guardare più da vicino, e a toccare (c'è un cartello che proprio invita, non vieta, i bambini, ma anche i grandi, a toccare) e non ti abbandonano mai: ci giri intorno mentre passeggi sui due piani di allestimenti e ti lasci catturare dalle storie che questi "reperti" - una parola che poco si adatta alla spirito del luogo - raccontano in maniera discreta e semplice.
Elisa Mazzoli, che il Museo lo ha visto nascere, racconta che "il Museo della Marineria di Cesenatico si configura subito come luogo caro ai bambini. Gli allestimenti parlano da sé, accolgono e abbracciano un pubblico di tutte le età, a partire dai piccolissimi, indipendentemente dall’attivazione o meno di un percorso didattico; ma non c’è dubbio che la mediazione culturale rivolta all’infanzia sia la chiave giusta per promuovere e diffondere potentemente le storie e i messaggi che le barche raccontano." Per questo piace tanto anche ai grandi, dico io, che infatti ogni volta che ho occasione di parlarne, invito ad andarlo a visitare, e dico sempre: è un gioiellino, vallo a vedere. Adesso c'è anche una
piccola sala naturalistica, e poi c'è la parte esterna, nel porto canale, con la mostra delle barche storiche.

Fare qualcosa con il Museo di Cesenatico è un'idea che mi cullo da un po'. Poi, si sa, le strade si incontrano, magari anche spesso, ma non sempre le circostanze ti danno modo di fare dei pezzi di strada insieme. Diciamo che ci siamo inseguiti e girati intorno un po', finché l'estate scorsa troviamo l'occasione, con la disponibilità di Davide Gnola, direttore del Museo (riminese anche lui), e con la mediazione di Elisa, di abbinare due mie conferenze alle serate di laboratori con i bambini, che loro propongono durante l'estate.
Le conferenze vanno bene, la gente viene numerosa, si lascia coinvolgere dalle mie storie di mare e insomma, siamo tutti contenti. La sera della seconda conferenza Davide mi dice che bisogna che facciamo due chiacchiere, dopo l'estate, che ha una proposta, un'idea. E così, dopo l'estate, in effetti chiacchieriamo, con lui e con Elisa, e insomma l'idea è che il Museo, un'eccellenza nel campo della Marineria, vorrebbe o dovrebbe parlare di più anche di mare, inteso proprio come ambiente naturale, con la sua vita, i sui abitanti, le sue storie che spesso si intrecciano con quelle dell'uomo, della pesca e della navigazione, ma che ovviamente sono un ambito importante e che meritano una narrazione a se stante.

E così iniziamo, proprio questi giorni, questa collaborazione, che mi fa felice e orgoglioso, con la strategia del fare un passo alla volta, di fare le cose come piacciono a noi, per bene (meglio che si può). Da gennaio alcune mie proposte per le scuole saranno inserite nell'offerta didattica del Museo. Poi in primavera/inizio estate altre conferenze. Poi... altre cose bollono in pentola, e altre ci verranno in mente per strada.
L'importante era partire con questo bel percorso di collaborazione, e così è stato. E sono davvero molto contento.